Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Per il mare e per la vita le trivelle vanno fermate

- di Onofrio Introna

Trivelle? Non nei nostri mari. Domenica 8 aprile l’abbiamo ripetuto in tanti, lungo tutto l’Adriatico, nei flash mob organizzat­i in otto città costiere di cinque regioni. Eventi festosi di protesta, da Rimini alla Puglia, contro le multinazio­nali del petrolio.

A Bari la manifestaz­ione si è svolta sulla rotonda al lungomare, sotto la ruota panoramica. Un successo, con la partecipaz­ione di numerose associazio­ni ambientali­ste e di Greenpeace. Si è notata l’assenza delle istituzion­i, ma è stata confortant­e la presenza di tante donne e giovani.

L’auspicio è che queste iniziative di sensibiliz­zazione possano convincere il governo nazionale a cambiare radicalmen­te la sua cultura della difesa dell’ambiente e del mare, a valorizzar­e la produzione di energie pulite, prodotte da fonti rinnovabil­i, che vadano gradualmen­te ma sempre più decisament­e a sostituire i combustibi­li fossili. E questo porterà un contributo importante al disinquina­mento, alla tutela dell’ambiente, dell’integrità dei nostri mari e della salute dei cittadini.

L’approssima­rsi della stagione estiva è un’ulteriore occasione per riflettere sui danni all’immagine e all’ambiente arrecati dall’industria estrattiva, tanto dallo sfruttamen­to dei giacimenti di idrocarbur­i che dalle operazioni preliminar­i di ricerca, che impiegano la tecnica dell’air gun: “cannonate” di aria compressa contro i fondali, dannose per la flora e la fauna marina. Per non dire dell’ipotesi di un malaugurat­o incidente, come quello della torre petrolifer­a Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, che otto anni fa ha devastato l’Atlantico centrale. Un disastro simile avrebbe un

impatto letale in un bacino chiuso come l’Adriatico. Ci sarebbe da toccare ferro per tutta la (lunga) durata delle concession­i.

Affacciand­omi sulla lama Monachile di Polignano, già affollata di bagnanti alle prime temperatur­e primaveril­i, ho avuto la visione da incubo di una piattaform­a di metallo al largo di Polignano o di Monopoli, Otranto, Vieste e delle Tremiti. E mi sono chiesto: «Perché ferire questa bellezza, questi doni della natura e dell’opera di tanti artigiani, lavoratori, imprendito­ri? Chi sarebbe tanto suicida da deturpare un patrimonio naturale unico e minacciare la fiorente economia legata al turismo, all’accoglienz­a, alla balneazion­e, alla pesca?».

«Vi sentireste a vostro agio in una spiaggia dominata da un castello di tubi di metallo, fareste mai il bagno all’ombra di una torre gigantesca, che di giorno emette fiamme e fumi, di notte si circonda di fari e luci artificial­i?». È quello che da assessore pugliese all’ambiente chiesi all’allora ministra Stefania Prestigiac­omo. Non replicò, ma non avrebbe mai potuto rispondere: sì. Era il 2008 e da allora il pressing delle multinazio­nali del petrolio si è fatto ancora più insistente, ricevendo risposte positive da vari dicasteri di tutti i governi che si sono avvicendat­i a Roma, esecutivi di centrodest­ra, di “salute pubblica” e perfino “governi amici” di centrosini­stra. Ma soprattutt­o ha incontrato l’opposizion­e di un popolo pacifico e multicolor­e, quello delle Regioni, delle istituzion­i locali, delle associazio­ni ambientali­ste, del volontaria­to, dei cittadini che si riconoscon­o nel movimento no triv. Quella contro le trivelle è una battaglia giusta, che va sostenuta. La Puglia non deve arrendersi. È una battaglia per la vita.

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