Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I tentacoli della mafia sul porto
L’inchiesta Contestato il traffico di armi e droga. Minacce per accorciare i tempi di esami e analisi negli ospedali «Era la nuova roccaforte dei Capriati». Annientata la rinascita della cosca, 18 arresti
Visite diagnostiche ottenute in meno di 48 ore scavalcando le liste di attesa e il controllo totale della cooperativa che gestisce la viabilità nel porto di Bari. Sono alcuni dei retroscena che emergono dall’inchiesta sul clan Capriati che ha portato a 18 arresti.
Un esame diagnostico ottenuto in 48 ore attraverso una corsia preferenziale «garantita» da Filippo Capriati a dispetto delle lunghe liste di attesa degli ospedali. Il controllo totale della cooperativa che gestisce la viabilità all’interno del porto di Bari.
La rinascita del clan Capriati e il suo tentativo di infiltrarsi nel tessuto economico di Bari e provincia è al centro dell’inchiesta della squadra mobile di Bari, coordinata dalla Dda, che ieri ha portato all’esecuzione di 21 misure cautelari (13 in carcere, 5 ai domiciliari, un obbligo di dimora e due obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria). Le accuse a vario titolo sono associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso e dall’uso delle armi, porto e detenzione di armi da guerra, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate, associazione per delinquere, aggravata, finalizzata alla perpetrazione di furti. Cinquanta in tutti gli indagati: tra loro anche un medico e un funzionario dell’agenzia delle entrate. Il primo per avere «redatto su richiesta telefonica una falsa attestazione sulle condizioni di salute di Sabino Capriati senza effettuare una visita e senza alcuna verifica oggettiva», il secondo invece «abusando delle sue qualità» avrebbe prospettato «una imminente verifica fiscale presso una azienda agricola» costringendo l’imprenditore, in questo modo, a versare la somma di 30 mila euro «per bloccare o risolvere la procedura di verifica».
Il procuratore Giuseppe Volpe sottolineando la capacità di intimidazione degli affiliati ha spiegato come il clan era capace «di intrattenere amicizie con il personale sanitario, per la verità piuttosto intimidito, ottenendo prestazioni con una rapidità assolutamente ignota ai cittadini normali». Non tutte le persone coinvolte sono però considerate vittime: sono in corso altre indagini per capire il ruolo che qualcuno potrebbe aver avuto per favorire i Capriati.
Da quando nel 2014 Filippo Capriati era uscito dal carcere aveva - secondo la Dda - ricostruito, insieme al fratello Pietro le fila del clan che negli anni Novanta aveva insanguinato le strade di Bari per affermare la propria supremazia. Filippo (che girava con una scorta armata) aveva quindi ereditato a Bari vecchia il feudo dello zio, il boss Antonio Capriati (in carcere da oltre vent’anni in regime di carcere duro) riuscendo a far rinascere la cosca con decine di nuove affiliazioni. Riuscendo anche ad acquisire in modo «diretto/o indiretto attraverso la Ariete Società Cooperativa (che si dichiara«assolutamente estranea ai fatti») il controllo del servizio di assistenza e regolazione del traffico veicolare, connesso ai traffici e alle operazioni portuali, all’interno del porto di Bari». La quasi to- talità dei dipendenti della Cooperativa sono risultati pregiudicati (elemento sottolineato in passato anche dall’ex senatore D’Ambrosio Lettieri in una interrogazione parlamentare).
«Il porto di Bari - scrive il gip nelle carte - appare un locus ideale non solo per la vicinanza al borgo antico ma appare una condizione essenziale per proteggere affiliati e sistemare uomini vicini al clan anche in servizi di pubblica utilità potendo contare su una certa benevolenza dell’Autorità portuale. Il porto appare come un imprenscindibile punto di riferimento del sodalizio dei Capriati, luogo adatto a risolvere e garantire - spiega il gip - copertura agli affiliati». Il gruppo criminale avrebbe dunque iniziato a «utilizzare il porto di Bari per incontrare in “assoluta sicurezza” persone o soggetti pregiudicati con i quali condividere gli stessi illeciti interessi» trasformando l’area portuale come «una pertinenza del borgo antico nella disponibilità del clan Capriati» conclude il giudice.
18 arresti
Operazione della squadra mobile: in carcere i nipoti del boss storico Antonio Capriati. «Pregiudicati nella coop che gestiva i servizi nell’area»