Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I penultimatum dati nel salotto di Vespa
In questi anni Luigi Di Maio e i leader 5 Stelle hanno interpretato alla perfezione il ruolo di instancabili oppositori di un sistema. Un sistema non tanto politico, quanto simbolico-linguistico. Sono stati percepiti cioè, in modo netto, come l’antitesi vivente del famigerato «teatrino della politica». All’egemonia della tattica, della prudenza, del riserbo e dell’«inciucio», hanno sempre opposto parole e gesti che evocavano, al contrario, sfrontatezza, coraggio, trasparenza e rifiuto della mediazione. Trovo quindi spassoso, lo confesso, vederli barcamenarsi da 50 giorni in questo «impasse istituzionale», un habitat a loro totalmente ignoto, dove appaiono impacciati come campioni dei pesi massimi obbligati improvvisamente a lasciare il ring per cimentarsi con una partita a scacchi (senza nemmeno potersi sfilare i guantoni). Li ascolto, li osservo, e mi accorgo che stanno gradualmente passando dagli ultimatum urlati in piazza ai penultimatum recitati nel salotto di Vespa, dall’infuocato frasario da mercato rionale alle tiepide allegorie da vecchi democristiani (i due forni!), dai proclami stentorei ai verbosi comunicati stampa in cui ogni aggettivo, prima di essere approvato, viene attentamente soppesato sul bilancino della diplomazia. Cari leader grillini, fate attenzione. Nel mondo contemporaneo la velocità con la quale i miti si creano è pari solo a quella con la quale si sgretolano. E tra un forno e l’altro, tra un tira e un molla, tra un veto e un controveto, tra un passo di lato e uno indietro, la vostra immagine sfavillante di alfieri della «nuova politica» rischia di annebbiarsi in fretta. Gli elettori sono già lì che fanno la fila per incassare la cambiale del cambiamento che avete firmato. E non saranno disposti a concedervi i cosiddetti «tempi lunghi della politica». Saranno spietati e intransigenti. L’hanno imparato da voi.