Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Lavoravano al porto: sarebbero coinvolti nell’inchiesta che ha smantellato il clan Capriati
Sospesi dal lavoro. Arrivano i primi provvedimenti della Cooperativa Ariete nei confronti di tre dipendenti coinvolti nell’operazione antimafia della Dda di Bari che giovedì ha portato in carcere 18 esponenti del clan Capriati. La Cooperativa Ariete «considerata la gravità dei fatti contestati ai tre dipendenti, li ha sospesi dal servizio con effetto immediato. Indipendentemente dal livello di coinvolgimento nella vicenda giudiziaria - è scritto in una nota - la società ritiene che anche solo una collusione parziale con il clan collida pesantemente con natura dell’attività svolta dalla Cooperativa Ariete in un contesto particolarmente sensibile come quello portuale. La società - conclude - si riserva inoltre di avviare ulteriori procedimenti disciplinari, laddove altri dipendenti dovessero risultare dall’inchiesta coinvolti in attività illecite».
Secondo la procura Antimafia di Bari il clan Capriati aveva il controllo della società (che si è subito dichiarata «estranea ai fatti») che gestisce la viabilità all’interno del porto. Secondo i pm, la cosca aveva acquisito «il controllo del servizio di assistenza e regolazione del traffico veicolare connesso ai traffici e alle operazioni portuali, all’interno del porto di Bari». Ed aggiunge ancora il gip Francesco Pellecchia nei verbali che «l’eccessiva ed incomprensibile tolleranza mostrata dai responsabili della Cooperativa Ariete nei confronti di alcuni esponenti della famiglia Capriati e di Sabino junior in particolare (figlio di Filippo Capriati, ndr) di fronte alle reiterate mancanze dal lavoro da parte di costoro, nonché la disponibilità mostrata dagli addetti alla contabilità nel “sistemare” le stesse buste paga». Nell’indagine è indagato anche un medico che avrebbe certificato l’impossibilità di alcuni membri della famiglia Capriati ad andare al lavoro per motivi di salute. Questi certificati - secondo i magistrati - venivano redatti senza che il medico visitasse il paziente.
Tornando sulla questione del porto il gip scrive che Filippo Capriati poteva muoversi liberamente nell’area portuale «senza subire controlli di sorta, pur non rivestendo, in tale specifico ambito, alcuna attività che giustifichi tale frequente presenza». È proprio attorno alla figura di Filippo Capriati che ruota l’inchiesta dell’Antimafia che ha stroncato la rinascita del gruppo criminale. Sulla volontà di Capriati di ricostituire le fila del clan ci sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Nicola De Santis, «il quale ha riferito nel dettaglio delle decisioni di Capriati di dare vita ad un sodalizio criminoso autonomo all’indomani della sua scarcerazione dichiarando testualmente: “quando Filippo è stato scarcerato siamo andati da lui e lui ha detto: dobbiamo incominciare a fare un mese di prova perché diciamo dobbiamo iniziare a gestire un po’ di droga, dobbiamo riprenderci un po’ qualche zona che abbiamo perso”».
È così che Filippo Capriati, nipote di Antonio (in carcere da una ventina d’anni in regime di carcere duro) voleva ricostruire l’impero criminale con l’intento di infiltrarsi anche nel tessuto economico della città.