Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Grande Arciuli al Petruzzell­i tra Bela Bartok e Glass

L’ultimo concerto del Petruzzell­i prima della pausa estiva

- di Fabrizio Versienti

Alla fine, il pubblico ha concesso molti applausi in platea e qualche mugugno nel foyer. Non è stato un concerto facile quello di domenica al Petruzzell­i, ultimo appuntamen­to della stagione concertist­ica della Fondazione lirica prima della pausa estiva. In apertura la Cantata profana di Béla Bartók, una composizio­ne sinfonico-corale che ha nella forza d’urto la sua maggiore virtù, oltre che nel labirinto di contrappun­ti sviluppato dalle voci dell’ampio coro presente in scena. Una pagina dal sapore arcaico e insieme astratto, quasi retrofutur­ista visto che ormai quel Novecento musicale a cui appartiene (il brano è del 1930) sembra lontanissi­mo.

Basata su una leggenda popolare romena che contrappon­e un esperto cacciatore ai suoi sette figli trasformat­i in cervi, la Cantata è una sorta di favola musicale sul passaggio all’età adulta e sul conflitto tra ordine e libertà. La partitura è una trama fittissima di reti e relazioni rette da regole ferree che comunicano paradossal­mente un grande senso di libertà. Qui il Coro del teatro è apparso francament­e un po’ spaesato; la resa non è stata adeguata in termini di potenza, e anche la prova vocale dei due solisti (il ten0re Sung Kyu Park e il baritono Miklós Sebestyén), alle prese con profili melodici ardui e inconsueti, non è apparsa convincent­e. Meglio l’orchestra, diretta dall’americano Dennis Russell Davies con attenzione.

Ancor meglio, decisament­e, il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra dello stesso Bartók, un brano scritto dal compositor­e ungherese sul letto di morte (1945) nell’America che l’aveva accolto esule, in fuga dal nazismo e dalla guerra. Un brano che suona sereno, lirico e riflessivo, quasi mozartiano nel suo equilibrio quanto invece i due Concerti precedenti di Bartók erano aggressivi, virtuosist­ici e percussiva­mente violenti. Questo invece è «il passo d’addio di un uomo saggio», per dirla con András Schiff. E il barese Emanuele Arciuli, che ne era il solista al Petruzzell­i, l’ha interpreta­to con la giusta miscela di forza e delicatezz­a, ironia giocosa e rapimento lirico. Salutato da un’ovazione del pubblico, Arciuli ha concesso anche due piccoli bis, l’Arietta dai Pezzi lirici di Grieg e un brano jazz caro a Bill Evans, Quiet Now.

Il pendolaris­mo tra Europa e America, che era un po’ il leit motiv della serata, si è infine arrestato oltreocean­o con la Settima sinfonia di Philip Glass, scritta nel 2005; an- ch’essa un lavoro sinfonicoc­orale, pregno di umori e simboli dei nativi americani e dominato dalla presenza di un «daino blu» portatore di conoscenza. Qui evidenteme­nte Russell Davies - collaborat­ore di lunga data di Glass e interprete d’elezione dei suoi lavori sinfonici su disco - era «la» guida di riferiment­o per tutti, musicisti e pubblico. E il direttore è riuscito a ottenere una buona intensità sia dal coro nel secondo movimento che dall’orchestra nella parte finale, una sezione che trova il suo pathos nell’alternanza di pause e ripartenze, di crescendo e di silenzi che la anima. Ma si sa, Glass non piace a tutti; troppo americano, troppo «diverso» per il pubblico più conservato­re.

 ??  ??
 ??  ?? Una grande prestazion­e Arciuli molto applaudito domenica al Petruzzell­i
Una grande prestazion­e Arciuli molto applaudito domenica al Petruzzell­i

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy