Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I PERICOLI VERI PER LA CRESCITA
Alcuni giorni fa l’Istat ha diffuso le stime preliminari di alcune variabili fondamentali a livello territoriale nel 2017 e successivamente Confindustria ha rivisto al ribasso le stime del Pil nazionale per quest’anno. Da queste stime si possono trarre alcune conclusioni. Prima di tutto il Sud continuava a crescere l’anno scorso sia nel prodotto interno lordo che nell’occupazione a ritmi comparabili al resto del paese (un decimale meno) a differenza del periodo della grande crisi, e accelerando rispetto ai due anni precedenti. Di fatto è possibile affermare che per il Sud c’è un prima, ed un dopo. Durante la crisi (20082014) tutte le variabili sono peggiorate al Sud molto più del Centro-nord. Il Pil ha perso 5 punti in più e l’occupazione 7,5 punti in più in soli 6 anni. Nel caso delle esportazioni il gap è addirittura superiore ai 15 punti percentuali (come negli investimenti non riportati nel grafico perché manca ancora il dato 2017). A partire dal 2014 in concomitanza con la ripartenza del ciclo economico nel Paese invece, il Sud, cresce più del Centro-Nord. Pil ed occupazione guadagnano 0,5 punti percentuali in più in tre anni mentre le esportazioni crescono di 5 punti percentuali in più. Si tratta di segnali sufficienti a affermare che il gap si chiude? Ovviamente no, anche perché l’intero Paese cresce in maniera insufficiente. Ma solo pochi anni fa l’idea che il Sud avrebbe approfittato della ripresa come e meglio del resto del Paese era accolta con diffuso scetticismo. L’idea di un Mezzogiorno desertificato dalla crisi prevaleva ovunque sui mezzi di informazione, avallando l’opinione prevalente che le politiche per il Mezzogiorno fossero inutili e defunte.
Se guardiamo alla composizione settoriale del Pil, troviamo alcuni motivi di ottimismo. A crescere al Sud in misura maggiore del Centro-Nord è soprattutto il valore aggiunto dell’industria in senso stretto (4,4% contro 1,7% nel Centro-Nord) e, in misura minore, delle costruzioni e del commercio, pubblici esercizi, trasporti e telecomunicazioni. Diminuisce il valore aggiunto agricolo ma meno del Centronord. Risulta strano quindi che la crescita del Pil complessivo sia inferiore. I dati comunque fanno sorgere due osservazioni. Da un lato si trova una prima conferma importante della efficacia delle politiche degli ultimi tre anni per il Mezzogiorno, a cominciare dal credito d’imposta per gli investimenti delle imprese al Sud.
Dal marzo 2017 un investimento nelle regioni meridionali gode di un credito d’imposta del 45% se effettuato da una piccola impresa, 35% per una media e 25% per una grande, cumulabile con super ed iper-ammortamento. Si tratta di benefici consistenti che hanno determinato un’esplosione di richieste e di investimenti: più di 5 miliardi di nuovi investimenti programmati fino a febbraio 2018. Evidentemente cominciamo già a vederne gli effetti nella produzione. Sarebbe una sciagura se queste politiche venissero abbandonate. Dall’altro la produzione cresce molto più velocemente dell’occupazione (1,4% contro 1%), probabilmente anche a causa dell’exploit dell’industria. Se ovviamente possiamo sempre augurarci un incremento dell’occupazione, d’altro canto un aumento della produttività del lavoro, il vero problema sotterraneo della economia meridionale, ma anche italiana, è la precondizione per una crescita più stabile di lungo periodo. Anche in questo caso gli investimenti sono la chiave per un aumento di produttività, investimenti innovativi certo, ma anche investimenti in generale. Nella grande crisi gli investimenti fissi lordi si erano ridotti del 40% nel Mezzogiorno (26% nel Centro-Nord). Ecco l’elefante nella stanza che nessuno vuole vedere.
La revisione delle stime di Pil di Confindustria ha un significato chiaro, che per il Mezzogiorno può essere drammatico. A fronte delle incertezze internazionali e nazionali, imprese e consumatori stanno tirando i remi in barca. Soprattutto sugli investimenti è urgente che il nuovo governo chiarisca al più presto in che quadro si troveranno a operare le imprese in futuro: da questo dipende la ripresa del Mezzogiorno.