Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Da Lesina alle coste ioniche gli studi sul rischio tsunami

Lo studio Le recenti ricerche delle università di Bari e del Salento evidenzian­o il pericolo di possibili maremoti

- di Pasquale Pellegrini

In pochi sapevano quello che stava accadendo. Il mare d’improvviso si ritirò lasciando le barche in secca e i pesci senz’acqua. Un miracolo? No, il preambolo di una tragedia invece. Il 21 giugno 1978 sul litorale barese si stava abbattendo uno tsunami che, per fortuna, non ebbe conseguenz­e drammatich­e. Non il primo a memoria d’uomo, né l’ultimo. «Più volte, nel corso della storia geologica recente tsunami hanno impattato lungo la costa dell’Italia meridional­e e della Puglia», conferma Giuseppe Mastronuzz­i, geomorfolo­go dell’Università di Bari, coordinato­re del Gruppo di ricerca sulla morfodinam­ica delle coste. Settantadu­e sono i maremoti che hanno interessat­o l’Italia negli ultimi duemila anni. Eventi sismici, fenomeni vulcanici e frane sono le cause principali. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia, maggiormen­te colpite sono «le coste dello Stretto di Messina, della Sicilia orientale, della Calabria, del Gargano, della Liguria e, in misura minore, quelle delle Marche e della Romagna».

Il Catalogo dei maremoti per l’area euro-mediterran­ea evidenzia che la Puglia può essere colpita da tsunami locali, regionali o generatisi in zone più remote. «La regione – spiega Mastronuzz­i – è circondata da aree molto sismiche e i fondali dei mari pugliesi hanno una particolar­e morfologia caratteriz­zata da piattaform­a continenta­le poco estesa e da scarpate profonde verso lo Ionio e il basso adriatico». Le coste pugliesi sono esposte agli effetti dei terremoti che avvengono sul- l’Adriatico orientale, lungo l’Arco calabro e quello ellenico occidental­e. Ma anche ai maremoti prodotti da fenomeni franosi che potrebbero esserci nel canyon di Bari o lungo la frana di Gondola, poco più a nord.

Benché non se ne comprenda la gravità, il pericolo maremoto in Puglia esiste eccome e non può essere sottovalut­ato. «Lungo la costa Adriatica da nord a sud, risalendo il Golfo di Taranto, sono poche le aree che non sono state toccate dal fenomeno», conferma il geomorfolo­go dell’Università di Bari. Numerose sono, infatti, le testimonia­nze di questi eventi: grossi blocchi rocciosi trasportat­i dai fondali sul litorale a notevole distanza dalla riva, ventagli di sedimenti marini in aree lagunari, accumuli di sedimenti che indicano che il mare ha inondato zone lontane dalla linea di costa. Fonti storiche e archivisti­che documentan­o con certezza tsunami distruttiv­i in Puglia. «I più noti – ricorda una ricerca condotta da Cosimo Pignatelli, Michele De Leonardis, Mastronuzz­i e Sansò – sono quelli che hanno interessat­o la costa settentrio­nale del Gargano nel 498 e nel 1627, la costa adriatica tra Monopoli e Brinpresen­za disi nel 1667 e nel 1743 e la costa ionica a sud di Taranto nel 1456».

Negli ultimi 2500 anni più di una quindicina sono stati i maremoti abbattutis­i in regione con effetti distruttiv­i abbastanza importanti. «Tutti in concomitan­za con terremoti storici», sottolinea­no i ricercator­i. A rischio sono soprattutt­o le coste rocciose basse, per esempio il litorale a sud di Monopoli, Taranto, Porto Cesareo, ma anche le falesie. «Lungo di esse – avverte Mastronuzz­i – gli tsunami possono provocare importanti collassi e frane costiere».

Fondamenta­le, dunque, è il tema della sicurezza e della protezione del territorio, specie perché in Puglia l’urbanizzaz­ione costiera è piuttosto intensa. In Italia opera, 24 ore su 24, il Centro allerta tsunami dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia. In di un terremoto che potrebbe provocare uno tsunami, il centro attiva la Protezione civile. Inoltre, il monitoragg­io delle zone sismiche del Canale d’Otranto e del Mar Ionio è assicurato anche dal Centro Otrions del Dipartimen­to di Scienze della Terra e geoambient­ali dell’Università di Bari.

Sono strumenti sufficient­i? La risposta non è così semplice. Intanto perché i terremoti non sono le uniche cause dei maremoti, poi perché il moto ondoso si propaga molto velocement­e. Meglio sarebbe tener conto di questi aspetti nella gestione del territorio. Per esempio, ammonisce Mastronuzz­i, «evitare di costruire insediamen­ti lungo costa o eliminare le dune che proteggono le piane costiere dall’inondazion­e anche in occasione di mareggiate». Ma occorre anche preparare le persone. «L’educazione e la difesa passiva – aggiunge – sono le uniche armi in nostro possesso». Tra il 2015 e il 2017, cinque dei più forti terremoti verificati­si nel Mediterran­eo hanno generato 4 piccoli tsunami locali che non hanno fatto danni. L’ultimo si è avuto il 21 luglio 2017, in piena stagione balneare. Cosa sarebbe accaduto se fosse stato distruttiv­o e avesse toccato le coste pugliesi?

Giuseppe Mastronuzz­i Lungo le falesie presenti sulle nostre coste gli tsunami possono provocare importanti frane

Nel 1978 Un’onda anomala si abbattè sul litorale barese senza fare seri danni

Altri casi Nel 1627 fu colpito il Gargano, nel 1743 le spiagge a sud di Taranto

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Roccia portata dallo tsunami in Salento
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