Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SUD E INDUSTRIA, FUTURO IN BILICO
Un brutto pasticcio. Che rischia di travolgere l’Ilva di Taranto, aprendo un’ulteriore e forse irreparabile lacerazione nel tessuto industriale meridionale. Il nostro compito, almeno in questa fase, non è quello di assegnare pagelle, soprattutto di fronte a illegittimità difficili da accertare e sulle quali sono altri i livelli di inchiesta. E di sentenziare perciò se abbia ragione Di Maio o piuttosto Calenda, se l’aggiudicazione della gara alla cordata Am Investco guidata da Arcelor Mittal configuri un eccesso di potere o meno. Ma di provare a capire quali saranno le conseguenze di quest’ulteriore ostacolo in una vicenda politica, sindacale, imprenditoriale, finanziaria, ambientale che diventa, ogni giorno che passa, sempre più esplosiva e di difficile soluzione.
Gli effetti che si intravedono nell’orizzonte non futuribile ma immediato sono avvolti da intense nuvole foriere di pioggia. Perché il 15 settembre, tra meno di un mese, l’Ilva commissariata non avrà più soldi in cassa e lo stesso ministro nega che ci saranno proroghe. Per di più col serio pericolo che la multinazionale colosso dell’acciaio che fa riferimento all’imprenditore indiano si stanchi di questi continui stop and go, e, forte del contratto già firmato col precedente governo, presenti ricorso e pretenda penali miliardarie.
Ciò che sarebbe davvero pernicioso per il Sistema Italia e, in particolare, per il Sud, è che, dopo un tale iter tortuoso, nessun investitore straniero verrebbe più in un Paese dove le regole del diritto e del mercato non sono rispettate. In questo contesto l’ipotesi, avanzata dal leader dei pentastellati, di revocare la gara se ci fosse anche una sola azienda interessata a rilevare l’Ilva, appare perciò più un auspicio che una possibilità concreta. Intendiamoci, se, come sostiene Di Maio, forte del parere dell’Avvocatura dello Stato finora, però, non reso noto, il suo predecessore al ministero dello Sviluppo economico avesse architettato un «delitto perfetto, coniugando l’illegittimità dell’atto di assegnazione alla cordata vincitrice della gara con clausole che ne rendono impossibile l’annullamento», allora spetta all’Anac e alla magistratura intervenire. Ma ciò, per la verità, ha poco o nulla a che vedere con il destino di migliaia di operai tarantini, il cui futuro occupazionale, già incerto e precario, è oggi avvolto da nebbie impenetrabili, che certo non potrebbero squarciare ipotesi per ora un po’ velleitarie di possibili reindustrializzazioni dell’area da parte di Invitalia. Soprattutto se si hanno a mente gli infausti esiti del piano Bagnoli.
In questi giorni si giocano parallelamente due partite delicate per il futuro del polo siderurgico pugliese: da un lato, gli accertamenti chiesti da Di Maio al ministero dell’Ambiente, dall’altro, la riapertura della trattativa tra azienda e sindacati alla quale il governo intende partecipare in prima persona. Le organizzazioni dei lavoratori non ci stanno a togliere le castagne dal fuoco al ministro e lo invitano a scegliere e a non rinviare ancora ogni decisione, mettendo così la parola fine a questa telenovela.
Da ieri, come nel gioco dell’oca, si ritorna al via. Saranno gli esiti del confronto sindacale sui livelli occupazionali e le verifiche ambientali a essere dirimenti per salvaguardare quell’interesse pubblico che il ministro dello Sviluppo antepone a ogni decisione sullo stabilimento siderurgico? Speriamo di sì, se l’obiettivo è strappare maggiori garanzie in tal senso alla multinazionale, rispetto a quelle ottenute dal governo Gentiloni. Ci riuscirà o no lo vedremo tra breve. L’importante è che finisca finalmente questa campagna elettorale ininterrotta attorno al polo siderurgico del Mezzogiorno e si cominci a ragionare seriamente sul futuro industriale di un Sud, che, senza un suo apparato produttivo, sarebbe inevitabilmente emarginato ancor più di quanto già non lo sia da ogni progetto di sviluppo economico.