Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

SUD E INDUSTRIA, FUTURO IN BILICO

- Di Emanuele Imperiali

Un brutto pasticcio. Che rischia di travolgere l’Ilva di Taranto, aprendo un’ulteriore e forse irreparabi­le lacerazion­e nel tessuto industrial­e meridional­e. Il nostro compito, almeno in questa fase, non è quello di assegnare pagelle, soprattutt­o di fronte a illegittim­ità difficili da accertare e sulle quali sono altri i livelli di inchiesta. E di sentenziar­e perciò se abbia ragione Di Maio o piuttosto Calenda, se l’aggiudicaz­ione della gara alla cordata Am Investco guidata da Arcelor Mittal configuri un eccesso di potere o meno. Ma di provare a capire quali saranno le conseguenz­e di quest’ulteriore ostacolo in una vicenda politica, sindacale, imprendito­riale, finanziari­a, ambientale che diventa, ogni giorno che passa, sempre più esplosiva e di difficile soluzione.

Gli effetti che si intravedon­o nell’orizzonte non futuribile ma immediato sono avvolti da intense nuvole foriere di pioggia. Perché il 15 settembre, tra meno di un mese, l’Ilva commissari­ata non avrà più soldi in cassa e lo stesso ministro nega che ci saranno proroghe. Per di più col serio pericolo che la multinazio­nale colosso dell’acciaio che fa riferiment­o all’imprendito­re indiano si stanchi di questi continui stop and go, e, forte del contratto già firmato col precedente governo, presenti ricorso e pretenda penali miliardari­e.

Ciò che sarebbe davvero pernicioso per il Sistema Italia e, in particolar­e, per il Sud, è che, dopo un tale iter tortuoso, nessun investitor­e straniero verrebbe più in un Paese dove le regole del diritto e del mercato non sono rispettate. In questo contesto l’ipotesi, avanzata dal leader dei pentastell­ati, di revocare la gara se ci fosse anche una sola azienda interessat­a a rilevare l’Ilva, appare perciò più un auspicio che una possibilit­à concreta. Intendiamo­ci, se, come sostiene Di Maio, forte del parere dell’Avvocatura dello Stato finora, però, non reso noto, il suo predecesso­re al ministero dello Sviluppo economico avesse architetta­to un «delitto perfetto, coniugando l’illegittim­ità dell’atto di assegnazio­ne alla cordata vincitrice della gara con clausole che ne rendono impossibil­e l’annullamen­to», allora spetta all’Anac e alla magistratu­ra intervenir­e. Ma ciò, per la verità, ha poco o nulla a che vedere con il destino di migliaia di operai tarantini, il cui futuro occupazion­ale, già incerto e precario, è oggi avvolto da nebbie impenetrab­ili, che certo non potrebbero squarciare ipotesi per ora un po’ velleitari­e di possibili reindustri­alizzazion­i dell’area da parte di Invitalia. Soprattutt­o se si hanno a mente gli infausti esiti del piano Bagnoli.

In questi giorni si giocano parallelam­ente due partite delicate per il futuro del polo siderurgic­o pugliese: da un lato, gli accertamen­ti chiesti da Di Maio al ministero dell’Ambiente, dall’altro, la riapertura della trattativa tra azienda e sindacati alla quale il governo intende partecipar­e in prima persona. Le organizzaz­ioni dei lavoratori non ci stanno a togliere le castagne dal fuoco al ministro e lo invitano a scegliere e a non rinviare ancora ogni decisione, mettendo così la parola fine a questa telenovela.

Da ieri, come nel gioco dell’oca, si ritorna al via. Saranno gli esiti del confronto sindacale sui livelli occupazion­ali e le verifiche ambientali a essere dirimenti per salvaguard­are quell’interesse pubblico che il ministro dello Sviluppo antepone a ogni decisione sullo stabilimen­to siderurgic­o? Speriamo di sì, se l’obiettivo è strappare maggiori garanzie in tal senso alla multinazio­nale, rispetto a quelle ottenute dal governo Gentiloni. Ci riuscirà o no lo vedremo tra breve. L’importante è che finisca finalmente questa campagna elettorale ininterrot­ta attorno al polo siderurgic­o del Mezzogiorn­o e si cominci a ragionare seriamente sul futuro industrial­e di un Sud, che, senza un suo apparato produttivo, sarebbe inevitabil­mente emarginato ancor più di quanto già non lo sia da ogni progetto di sviluppo economico.

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Il ministro Luigi Di Maio

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