Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Troppo seria per vivere la passione? Giudicarsi fa male e costruisce gabbie
Cara Alberta, quando si dicono troppi «io» c’è sempre qualche falsa convinzione da scardinare. Io sono seria, io non voglio soggetti pericolosi, io voglio una famiglia, io davanti a un certo tipo di persone sbadiglio, io non sono una da avventure, io preferisco pensare al mio futuro… A volte, costruiamo un bozzolo di presunte certezze perché, fuori dal nostro limitato perimetro, il mondo ci sembra troppo periglioso. Nessuno va bene perché nessuno vogliamo che entri. Ma quando siamo prevenuti verso gli altri siamo in realtà prevenuti verso la nostra capacità di cavarcela in ogni situazione. Chi non crede in nessuno, in realtà non crede in se stesso. Spesso, senza esserne consapevoli, ci costruiamo una corazza visibile, come certe piante che per adattarsi ad ambienti ostili hanno sviluppato nel tempo le spine. Dice Alejandro Jodorowsky: «Ogni volta che ascoltiamo con atteggiamento critico e non col cuore siamo fuori strada». Lei non ascolta, giudica. E la sua diffidenza rende la vita più difficile a lei che alle persone che la subiscono. Loro hanno sempre una via di uscita e, a quanto pare, la imboccano subito; lei della sua diffidenza resta prigioniera. Temo anche che ai suoi incerti corteggiatori lei appaia noiosa quanto i ragazzi noiosi da cui lei stessa fugge. Temo che ogni sua mossa e pensiero servano solo a confortarla dell’idea che la sera si sta meglio a casa a lavorare. Dovrebbe considerare l’idea di imparare a esercitare la curiosità verso le persone, ascoltarle, cercare di capirle anziché etichettarle. Tutti dobbiamo imparare a metterci nei panni degli altri: nessuno ci verrà a cercare dietro un muro alzato, se non apriamo varchi che sono promesse di risate, tenerezza, intelligenza e di tutti quei tesori che lei ritiene di possedere ma di custodire per l’eletto che sarà in grado di scalare le mura della sua fortezza.
Un figlio con l’amica del cuore?
Cara Candida, in questo mondo in cui tutti siamo connessi ma soli, non ho fidanzate che durino e ho una sola, carissima, amica del cuore. Amica da sempre, eravamo insieme all’asilo, alle elementari e alle medie. È più che una sorella perché ci siamo scelti e non ci siamo mai persi. Siamo uguali io e lei, siamo sempre quelli che li metti in una coppia e si fanno maltrattare. Siamo quelli che soffrono, quelli che subiscono, quelli che sperano e spasimano e si fanno mettere i piedi in testa. Siamo io e lei quelli che amano troppo e ricevono poco. Vicini ai 40, siamo ora single, io con un tentativo in corso che ha l’aria di andare verso il solito epilogo: con la mia ragazza che la fa da padrona. La mia amica, chiamiamola Rossella, da un po’ vive una crisi profonda perché sente l’orologio biologico e desidera un figlio. Inutile dire che non si vede materia prima all’orizzonte. Anche io vorrei un figlio e una famiglia. Ma la divergenza di vedute fra me e lei sta proprio su questo dettaglio: la
famiglia. Lei ha deciso di farsi un figlio da sola, non ne può più di aspettare il principe azzurro. La capisco, perché una donna ha meno tempo di un uomo. Io, invece, ancora spero in una coppia vera. Ora però Rossella mi ha fatto una proposta: avere un figlio insieme, da crescere come madre e padre, però restando noi soltanto amici. La proposta mi ha lasciato senza parole: io so che lei sarebbe una mamma fantastica e che non mi creerebbe mai problemi, abbiamo le stesse idee quasi su tutto. Ma ad accettare mi sento una specie di impostore verso il figlio che avremo. Non dovrebbe essere figlio dell’amore? Si può avere un figlio del calcolo? E una futura (o anche la mia attuale) compagna come la prenderebbe? Questo mi procurerebbe dei problemi? Me ne pentirò? Però, se non accetto, ferisco Rossella. Lei la fa facile. Anzi, è piena di entusiasmo. Dice che questo bambino avrà l’amore perfetto di due persone che si vorranno sempre bene e l’hanno tanto voluto. Dice che io subisco troppi condizionamenti sociali. Sono tentato, e molto. Voglio essere padre, ma non so spiegare bene cosa mi frena. Mario
Caro Mario, sono della scuola che un figlio va fatto pensando a che madre gli diamo, non a quanto siamo innamorati. L’amore è ingannevole e, spesso, è a tempo e finisce. Oggi far durare un amore è un’impresa, e sia lei sia la sua amica avete la pericolosa tendenza a scegliervi i partner sbagliati. Lei può aspettare l’ennesima ragazza capricciosa e solo sperare che, creando insieme una famiglia, l’infelice sarà solo lei e non anche suo figlio. O può fare una scelta anticonvenzionale, ma in fondo più ponderata. Ci pensi a fondo, ma decida per il suo bene e per il bene del bambino che eventualmente verrà, non perché si sente in colpa verso la sua amica. Sono sempre giuste le scelte che facciamo rispondendo ai nostri desideri profondi, mai quelle in cui ci facciamo agire dal senso di colpa o dalla morale comune.