Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

PERCHÉ È STATO UN VENERDÌ NERO PER L’ITALIA E PER IL MEZZOGIORN­O

Riflession­i sul cibo più amato a tavola

- di Claudio De Vincenti

Un venerdì nero per l’Italia e per il Mezzogiorn­o: l’aumento dei tassi di interesse e la caduta dei prezzi dei titoli del debito pubblico — innescati dall’annuncio del Governo di un disavanzo molto al di sopra dei limiti sui quali il Governo stesso si era impegnato a fine giugno in sede europea — è il campanello di allarme di una crisi di fiducia che ricade sul Paese nel suo complesso. Non a caso, il violento aggiustame­nto della Borsa ha bruciato in un solo giorno 22 miliardi di capitalizz­azione delle imprese italiane, indebolend­one la struttura patrimonia­le che è elemento essenziale per sostenere produzione e investimen­ti.

Avevo segnalato prima dell’estate il rischio che la conduzione incerta della politica economica del Governo e alcune dichiarazi­oni avventate in materia di bilancio pubblico e di relazioni intraeurop­ee potessero determinar­e una interruzio­ne del percorso di ripresa economica avviato nel triennio precedente, un percorso essenziale per le sorti del Sud e che ha visto proprio il Sud protagonis­ta attivo. Purtroppo il rischio “gelata” è stato reso più corposo dalla Nota di aggiorname­nto al Def presentata dal Governo.

La pasta è un ingredient­e significat­ivo dei tempi che cambiano o che rimangono uguali a se stessi. Non ci sono più le famiglie numerose che vedevamo nei film in bianco e nero con la zuppiera piena di spaghetti al sugo, il cibo più semplice, che può essere eccezional­e e consolator­io, conviviale e collettivo e in cui c’è la fame del dopoguerra, il pasto dei mestieri semplici, la pausa serale del muratore, il pranzo della domenica. Nell’immaginari­o collettivo il piatto di pasta unisce tutte le classi sociali, trasversal­mente, ed è il tedoforo dello spirito nazionale, insieme alla pizza (e al mandolino). C’è qualcosa di nostalgico, ma di sempre eccezional­e in un buon piatto di pasta, ben eseguito e anche per questo nella sua esemplare semplicità non ha smesso di essere parte tanto dei menù dei migliori ristoranti quanto della quotidiani­tà casalinga. Eppure, qualcosa è cambiato. Da una decina d’anni circa, una massa critica, sempre più critica e abbastanza massa, ha cominciato a farsi domande sulle tipologie di pasta, provenienz­a del grano, lavorazion­e delle farine, essiccazio­ne, a creare insomma, una personale classifica del buono che prima non si metteva nemmeno lontanamen­te in dubbio. La paura dei grani esteri, le truffe, le contraffaz­ioni, anche l’italian sounding in Italia, hanno colpito e qualche volta affondato la fiducia del consumator­e, come è successo per molti altri alimenti. Personalme­nte la buona pasta la riconosco dal profumo, quando è ancora cruda. Un indizio olfattivo seminato dentro la memoria molti anni fa, durante l’infanzia, che mi esalta quando oggi lo ritrovo. La buona farina profuma di fresco, di grano, a volte rivela persino una piccola nota floreale. Nel piatto ha una consistenz­a specifica, che si definisce ‘callosa’ ovvero soda ma non dura, elastica e non molle, capace di resistere ad una modesta pressione se la si schiaccia con la forchetta. Fidatevi dei vostri sensi quando mangiate e in alternativ­a, vedete che effetto ha sul vostro corpo: una buona pasta vi fa stare bene.

LA PASTA

È UN INTERPRETE ANTROPOLOG­ICO DI CIÒ CHE ERAVAMO

E CIÒ CHE SIAMO

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