Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
PERCHÉ È STATO UN VENERDÌ NERO PER L’ITALIA E PER IL MEZZOGIORNO
Riflessioni sul cibo più amato a tavola
Un venerdì nero per l’Italia e per il Mezzogiorno: l’aumento dei tassi di interesse e la caduta dei prezzi dei titoli del debito pubblico — innescati dall’annuncio del Governo di un disavanzo molto al di sopra dei limiti sui quali il Governo stesso si era impegnato a fine giugno in sede europea — è il campanello di allarme di una crisi di fiducia che ricade sul Paese nel suo complesso. Non a caso, il violento aggiustamento della Borsa ha bruciato in un solo giorno 22 miliardi di capitalizzazione delle imprese italiane, indebolendone la struttura patrimoniale che è elemento essenziale per sostenere produzione e investimenti.
Avevo segnalato prima dell’estate il rischio che la conduzione incerta della politica economica del Governo e alcune dichiarazioni avventate in materia di bilancio pubblico e di relazioni intraeuropee potessero determinare una interruzione del percorso di ripresa economica avviato nel triennio precedente, un percorso essenziale per le sorti del Sud e che ha visto proprio il Sud protagonista attivo. Purtroppo il rischio “gelata” è stato reso più corposo dalla Nota di aggiornamento al Def presentata dal Governo.
La pasta è un ingrediente significativo dei tempi che cambiano o che rimangono uguali a se stessi. Non ci sono più le famiglie numerose che vedevamo nei film in bianco e nero con la zuppiera piena di spaghetti al sugo, il cibo più semplice, che può essere eccezionale e consolatorio, conviviale e collettivo e in cui c’è la fame del dopoguerra, il pasto dei mestieri semplici, la pausa serale del muratore, il pranzo della domenica. Nell’immaginario collettivo il piatto di pasta unisce tutte le classi sociali, trasversalmente, ed è il tedoforo dello spirito nazionale, insieme alla pizza (e al mandolino). C’è qualcosa di nostalgico, ma di sempre eccezionale in un buon piatto di pasta, ben eseguito e anche per questo nella sua esemplare semplicità non ha smesso di essere parte tanto dei menù dei migliori ristoranti quanto della quotidianità casalinga. Eppure, qualcosa è cambiato. Da una decina d’anni circa, una massa critica, sempre più critica e abbastanza massa, ha cominciato a farsi domande sulle tipologie di pasta, provenienza del grano, lavorazione delle farine, essiccazione, a creare insomma, una personale classifica del buono che prima non si metteva nemmeno lontanamente in dubbio. La paura dei grani esteri, le truffe, le contraffazioni, anche l’italian sounding in Italia, hanno colpito e qualche volta affondato la fiducia del consumatore, come è successo per molti altri alimenti. Personalmente la buona pasta la riconosco dal profumo, quando è ancora cruda. Un indizio olfattivo seminato dentro la memoria molti anni fa, durante l’infanzia, che mi esalta quando oggi lo ritrovo. La buona farina profuma di fresco, di grano, a volte rivela persino una piccola nota floreale. Nel piatto ha una consistenza specifica, che si definisce ‘callosa’ ovvero soda ma non dura, elastica e non molle, capace di resistere ad una modesta pressione se la si schiaccia con la forchetta. Fidatevi dei vostri sensi quando mangiate e in alternativa, vedete che effetto ha sul vostro corpo: una buona pasta vi fa stare bene.
LA PASTA
È UN INTERPRETE ANTROPOLOGICO DI CIÒ CHE ERAVAMO
E CIÒ CHE SIAMO