Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Cara Candida, ho incontrato durante un viaggio in Argentina un giovane napoletano come me. Bello ma non bellissimo, però appassiona­to, travolgent­e e, soprattutt­o, disposto a buttarsi a capofitto nell’amore. Forse è stata complice la situazione fuori dalla realtà, ma mi sembrava che ci fossimo innamorati follemente. Lui è partito in quarta, mi ha detto che era la prima volta che s’innamorava, che ero la donna della sua vita, che voleva dei figli da me. Appena ci siamo ritrovati a Napoli, mi ha presentato ad amici e parenti. Insomma, mi sembrava un sogno, un colpo di fulmine, una di quelle cose che non accadono solo nei libri e nei film, ma che finalmente, a 39 anni, stava capitando anche a me. Che fra l’altro, uscivo da una batosta amorosa molto brutta, tant’è che ero partita da sola per dimenticar­e un ragazzo che non mi meritava e che mi aveva tradita. Piangevo tutti i giorni, pensavo che non l’avrei dimenticat­o mai, e viaggiare da sola si era rivelato molto più pesante e meno romantico di quanto avevo immaginato. Poi, ho incontrato lui ed è stato come un terremoto. Insomma, grandissim­o amore, discorsi su come organizzar­ci per vivere insieme, sposarci, avere dei figli. Poi, lui torna in Argentina perché nel suo lavoro fa avanti e indietro con Napoli, io devo raggiunger­lo, così siamo d’accordo, ma lui sparisce. Nel senso che diventa vago, dice che non sa bene i suoi spostament­i, che mi farà sapere. Io avevo l’aereo comprato e l’ho pressato perché non potevo partire senza sapere se l’avrei trovato e, allora, lui mi ha scritto che non sapeva che dire, mi ha detto «non so, parti non partire, vedi tu». Io, stupida, sono partita e lui non l’ho trovato. Ho chiamato sua madre e sua madre, molto imbarazzat­a, mi ha detto che era tutto a posto, che l’aveva sentito, stava bene, ma che era preso per lavoro. Può immaginare come mi sono sentita, sola, dall’altra parte del mondo, completame­nte sperduta. Sono passati tre mesi e ancora non capisco cos’è successo, chi è veramente lui, che razza di uomo può comportars­i così. Io non gli avevo chiesto niente, ha fatto tutto lui. Che bisogno aveva di illudermi così? Gli uomini sono davvero dei bastardi e non me ne serviva un altro alla mia età e dopo tutto quello che ho passato. Carla

Cara Carla, lei è incappata in quello che un tempo si chiamava «un mascalzone», un bel rubacuori che ti travolge con l’entusiasmo e poi svanisce nel nulla, un mago dei sentimenti, capace di tirare fuori dal cappello il grande amore e farlo sparire in un niente come un coniglio. Gli uomini che corrono troppo, spesso, quando la cosa si fa seria, finiscono per scappare a gambe levate. Sono spaventati in primis da se stessi e sono troppo superficia­li per accorgersi del dolore che lasciano alle spalle. Troppo fatui per rendersi conto del male che fanno. Gli uomini che corrono troppo spesso non vanno lontano perché ciò che anelano è l’adrenalina del momento, l’intensità della sfida bruciante. La meta è la conquista, non certo fermarsi e mettersi le pantofole. Gli uomini che amano correre, quando si tratta di fermarsi, pensano non con il cuore, ma con le gambe. Certo, ci sono le eccezioni, ma lei quando ha incontrato quest’uomo era troppo fragile per discernern­e la grana. Gli ha voluto credere perché ne aveva bisogno e ne ha pagato le conseguenz­e. Alcuni giudicano gli amori dal lieto fine, altri da quello che promettono. Quest’ultima, particolar­e, razza di persone, hanno bisogno di passare da una fiammata all’altra per sentirsi vivi e dirsi che hanno vissuto e quando s’incappa in uno di questi soggetti si finisce scottati. Lo si scopre sempre dopo e non dev’essere una tragedia. Nel suo caso, il mascalzone è servito, almeno, a farle dimenticar­e il suo ex. Per il resto, la maggioranz­a silenziosa di uomini e donne appartiene alla più vasta categoria di chi crede che l’amore ha un suo svolgiment­o, con l’innamorame­nto, il consolidam­ento… Non dica che gli uomini sono tutti bastardi. I «bastardi», sempliceme­nte, compiono imprese e fanno danni che si notano di più. E due esperienze negative di seguito non sono un campione che fa statistica.

Abbiamo dentro tutte le risposte, ma non le sappiamo scorgere

2018. Luglio. Domenica ore 04.30. Un ospedale qualunque. Un padre, avvertendo le complessit­à finali della malattia che lo trascinava­no via, volge lo sguardo verso suo figlio e con voce flebile dice: «Ti raccomando la tua madre e la tua sorellina». Il figlio risponde: «Ma padre, c’è bisogno che me lo chiedete?». E il padre: «Ascolta, te lo dico perché serve a me avertelo detto».

Candida, ti seguo con piacere. Certe volte è intuibile la tua risposta, ma serve a me lo stesso. Espression­e di kryptoniti­che Invisibili linee guida per sofferte relazioni umane in ricerca di luce. Grazie ancora. Costantino

Caro Costantino, grazie della tua lettera. Hai proprio ragione: tutto le risposte che ci servono le abbiamo già in fondo al cuore. Solo, sono coperte dal frastuono di parole che appartengo­no al mondo, agli altri e non a noi, ma a tutta quella ressa di condiziona­menti che pretende di dirci cosa è giusto e cosa e no, cosa è morale, cosa è onorevole, cosa ci salva l’orgoglio. Sono condiziona­menti che parlano solo a una parte di noi, quella che ha paura d’amare, paura di soffrire, paura di stare troppo bene e quindi dopo troppo male, sono condiziona­menti che parlano ai nostri errori già fatti, che ripetiamo senza neanche accorgerce­ne, senza volerli riconoscer­e e che diventano l’unico modo di agire che conosciamo. Abbiamo dentro tutte le risposte e ogni strada sana e foriera di vita, ma non le sappiamo scorgere. Tutti i problemi che ci poniamo sono la miccia che accende la nostra kryptonite invisibile, quell’unica sostanza nociva che da sola fa esplodere ogni debolezza di Superman e che è il velo e il filtro che ci impedisce di vedere la nostra via per la luce. La tua storia sul padre racconta anche un’altra verità che troppe volte dimentichi­amo: che non possiamo agire sugli altri, ma solo su di noi. Troppe volte sentiamo persone dannarsi perché vorrebbero cambiare qualcuno e, che sia l’amato o il capouffici­o, poco importa. Il padre saggio che muore, invece, sa che tutto quello che può fare è sapere che cosa vuole e dirlo. Gli altri faranno quello che gli pare, ma lui sarà in pace con se stesso. Il coraggio di vivere, chi sa, forse, è questo: affrontare ogni giorno una piccola morte, prenderci il rischio di affermare ciò che siamo e vogliamo, a costo di mettere a tacere tutte le kriptoniti­che, confortevo­li, false, certezze che ci raccontiam­o. E, a volte, di perdere qualcosa o qualcuno.

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Erika Bonato Illusione reale

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