Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La nota di malinconia per i leader di un tempo
Non sono un nostalgico. Non lo sono mai stato e non voglio imparare ad esserlo. Eppure di questi tempi mi assale sempre più spesso uno strano sentimento, un misto tra rimpianto e malinconia. È legato a personaggi che un tempo, quando erano sulla cresta dell’onda, detestavo cordialmente. Personaggi che oggi sto pian piano riabilitando e di cui sento una lancinante mancanza.
Cirino Pomicino, per esempio. Quanto mi manca il suo eloquio sagace, sempre incorniciato in un perfetto italiano. Mi manca la sua cultura, mi mancano le sue citazioni, mi manca il suo spessore, il suo solido curriculum. Solo vent’anni fa mi ripugnava. Ma se lo paragono a omologhi, conterranei ministri contemporanei, quel minuto omino partenopeo mi appare improvvisamente come un gigante della politica.
E Umberto Bossi? Quanto mi faceva incazzare! Perché ci chiamava terroni, perché voleva pulirsi il culo con la bandiera italiana. Eppure riflettendoci a mente fredda, era del tutto evidente che quelle cose non le pensava: le diceva per convenienza elettorale. Mentre al contrario, il suo giovane successore le pensa. Ma per convenienza elettorale non le dice. E vogliamo parlare di Berlusconi? No, dico, Silvio Berlusconi non vi manca nemmeno un pochino? Ok, aveva questo brutto difetto di pensare un po’ troppo agli affari suoi. E per concludere una cena elegante non si accontentava di un sorbetto e di un cicchetto di Averna. Ma se lo confronto a presidenti del Consiglio di strettissima attualità, vivo una specie di lutto.
Mi sembra che il Paese abbia perso un padre nobile. Un uomo in gamba, una persona sensibile, uno che un giorno, parlando del dolore dei migranti albanesi, pianse in diretta tv. Sotto il cerone Silvio aveva un’anima, aveva un cuore, e io, nella mia furia da contestatore di sinistra, non me n’ero mai accorto. È proprio vero: si stava meglio quando si stava peggio.