Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il fascino senza tempo di «Ayre»
Ayre è un affascinante lavoro dell’argentino Osvaldo Golijov, creato nel 2004: un ciclo di folksongs provenienti in gran parte dalla Spagna del tardo Medioevo, di tradizione ebraico-sefardita oppure cristiana in lingua araba, rielaborate in modo da esaltarne la ricca spiritualità e la dimensione quasi «devozionale», pur trattandosi di canti in origine non legati a usi religiosi. Tutt’altro: si narra di amori e di guerre, di gioie e dolori, ma l’intensità - esaltata da un uso accorto dei contrasti «drammatici», ritmici e timbrici, e da un lavoro della voce straordinariamente raffinato, ricco di melismi e di variazioni delle linee melodiche - è tale da lasciare senza fiato l’ascoltatore. Ne vien fuori il ritratto musicale di una civiltà mediterranea
ormai scomparsa, che riusciva forse - sotto il governo del califfato arabo! - a far convivere in pace le sue diverse anime (cristiana, ebraica, musulmana). O perlomeno, questo è il senso, il messaggio e l’auspicio - riferito al presente - del lavoro di Golijov.
Riproporlo all’interno del festival Time Zones, per iniziativa congiunta dei due conservatori di Bari e Matera, è stata un’idea quanto mai felice. L’entusiasmo della direttrice d’orchestra Teresa Satalino e del fisarmonicista Francesco Palazzo, che ha riarrangiato il lavoro di Golijov per il Folksongs Ensemble, ha fatto il resto. E l’esecuzione di venerdì sera, in quel piccolo gioiello che è l’auditorium della Fondazione Giovanni Paolo II, al San Paolo, è stata memorabile. Ottimo in particolare il lavoro di Teresa Portoghese alla voce, chiamata a una prova molto impegnativa; ma tutti i musicisti, docenti e studenti dei due conservatori, sono stati assolutamente all’altezza.