Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il caso Braibanti, il 1968 e il Paese di oggi
Corrisponde certo a verità l’affermazione di Massimiliano Palmese - autore de Il caso Braibanti in scena ancora oggi, alle ore 19 al teatro Van Westerhout di Mola – che la vicenda che vide coinvolto un intellettuale accusato di plagio nei confronti di un giovane amico e pertanto condannato a ben nove anni di reclusione, dipinge di foschi colori medievali gli anni Sessanta del secolo scorso. Anni in cui il nostro paese – o meglio la narrazione fatta del nostro paese – guardava con ottimismo al miracolo economico e all’emancipazione postbellica. Ma l’emblematico caso rivelò quale terribile scontro fosse in corso tra vecchia e nuova morale e tra istanze politiche contrapposte – Braibanti era comunista – in una società che cercava di liberarsi sull’onda di un capovolgimento epocale che metteva al centro la figura dei figli e non più quella dei padri.
Dopo un processo durato quattro anni l’omosessuale Braibanti fu condannato alla stessa pena che ricevettero i responsabili della catastrofe del Vajont che fece quasi duemila morti, mentre al ragazzo furono inflitti innumerevoli ricoveri in ospedali psichiatrici ed elettroshock. Era il ’68, l’anno che stava incendiando il mondo e che da noi mostrava come il fascismo non era mai finito. Infatti l’anno dopo si inaugurò – con la strage di piazza Fontana a Milano - la strategia della tensione.
Tutto questo si trova nella nuova produzione di Diaghilev, una messa in scena austera e bella, un’occasione da non perdere perché getta una luce problematica anche sul nostro presente. Palmese scarnifica la vicenda per proporcela in avvincente forma teatrale, fornendo al regista Giuseppe Marini la base per un rigore che tende sempre al coinvolgimento del pubblico e che sempre si tramuta in leggerezza grazie anche alla presenza di due interpreti esemplari come Fabio Bussotti e Mauro Conte, alle cui parole fa da perfetto contraltare il sax di Mauro Verrone.