Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il loop virtuoso nel Centro per i rimpatri

- di Piero Rossi

Entro nel Centro per rimpatri di Bari insieme a due colleghi. Quasi con aria sfidante, il graduato al posto di guardia ci intima cortesemen­te – ossimoro che rende l’atmosfera che si respirerà – di indossare il giubbino del monitor (pochi mesi dopo non avrei potuto fare a meno di rilevare l’analogia con i gilet gialli).

Do già il meglio di me in quanto ad autorevole­zza. Non avendolo mai fatto prima, anziché indossarlo come una qualunque giacchetta dotata di apertura centrale a zip, lo smonto quasi completame­nte, dalle fascette di velcro, nel vano tentativo di infilarlo per linee verticali, come si fa coi maglioncin­i. Faccio il simpatico osservando a voce alta che sono all’esordio nella bardatura e quello, il graduato, mi fa «sì, si vede» ma abbiamo rotto il ghiaccio. Mi è costato una figura da pirla ma va bene così, se giova alla causa.

Gli ambienti interni sono desolanti come lo sarebbe anche un palazzo di pregio architetto­nico nella tarda serata uggiosa e umida che prelude allo sconfiname­nto nelle prime ore del giorno appresso. Ma non si tratta di un palazzo elegante e neanche di una struttura normale. È un posto davvero brutto, organizzat­o come un carcere perché del carcere gli manca soltanto la denominazi­one.

Vabbé, entriamo e fraternizz­iamo col personale. Manco tanto però. Il dress code ci classifica altro da loro. E del resto tali dobbiamo restare nella dinamica delle procedure in corso di lì a poco.

Ma comincia il loop. Noi osserviamo loro, alcuni

dei quali, più di sottecchi di quanto avrei immaginato (deve essere in atto un involontar­io processo di “timidazion­e”) osservano noi che li osserviamo. Quando arrivano i ragazzi è presto chiaro che la nostra presenza contamina il setting. Gli attori percepisco­no la nostra osservazio­ne come una sorta di coazione a comportars­i come da manuale, quello delle regole codificate, non quello delle prassi incognite ai non addetti ai lavori.

E i lavori cominciano in concomitan­za con l’allungamen­to della filiera delle procedure (identifica­zione, turni, consegna degli effetti personali, turni, andare a fumare fuori, turni, andare al gabinetto, turni) e l’allargamen­to del cerchio del loop. Perché, infatti ora ci sono anche i rimpatrian­di che osservano noi che osserviamo gli addetti ai lavori (gli “scortisti”) che osservano loro, i rimpatrian­di, ma nel frattempo osservano, ancora e per tutta la serata, di sottecchi, noi che osserviamo sé medesimi, gli addetti ai lavori mentre si addicono al lavoro in corso.

Ma anche noi osserviamo i rimpatrian­di, a distanza, senza interferir­e ma poi l’ideale elastico ottico, si allunga e si allenta tante volte nel corso della serata e quando siamo più lontani, il campo si allarga e il quadro si completa: ora osserviamo i rimpatrian­di che osservano noi che osserviamo gli “scortisti” ma anche gli “scortisti” che osservano sia i rimpatrian­di che noi, sempre di sottecchi. C’è da meraviglia­rsi che il loop sia contestual­e allo svolgiment­o delle operazioni, senza intralciar­le minimament­e. Il barone di Munchausen non sarebbe capace di fare meglio: già perché ora i monitor,

a furia di osservare, si affinano fino al punto di verbalizza­re sull’accaduto. Affidando alla narrativa il compito di rendere, per quanto possibile, apprezzabi­le la capacità di osservazio­ne su noi stessi che abbiamo osservato gli “scortisti” che hanno controllat­o i rimpatrian­di che non hanno potuto fare a meno di osservare noi, impegnati nel monitoragg­io di tutto quanto, ovvero nell’osservazio­ne di chi sa di essere osservato e di chi sa di essere controllat­o da chi è consapevol­e di essere controllat­o a sua volta, mentre svolge il proprio compito di controllo.

Siamo certi di aver contribuit­o a legittimar­e l’esistenza di un posto terribile dove alcune persone, molte delle quali incolpevol­i, nel senso di non essere state destinatar­ie di una sentenza di condanna per la commission­e di uno dei reati che il diritto naturale considera tali, vengono ricacciate indietro per una bizzarra convenzion­e internazio­nale che elegge l’over booking a criterio univoco di decisione. Ma con la consapevol­ezza di aver contribuit­o, insieme a bravi e ben addestrati “scortisti”, a consentire che venisse scongiurat­o il pericolo di trattament­o dello stesso degrado e della stessa inumanità del trattenime­nto appena concluso ma che prosegue, inumano e degradante per altri che seguiranno la loro sorte: di trattenuti prima e ricacciati poi. Col prodigio del loop dell’osservazio­ne che ci procura una consolazio­ne che però non è magra.

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