Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il loop virtuoso nel Centro per i rimpatri
Entro nel Centro per rimpatri di Bari insieme a due colleghi. Quasi con aria sfidante, il graduato al posto di guardia ci intima cortesemente – ossimoro che rende l’atmosfera che si respirerà – di indossare il giubbino del monitor (pochi mesi dopo non avrei potuto fare a meno di rilevare l’analogia con i gilet gialli).
Do già il meglio di me in quanto ad autorevolezza. Non avendolo mai fatto prima, anziché indossarlo come una qualunque giacchetta dotata di apertura centrale a zip, lo smonto quasi completamente, dalle fascette di velcro, nel vano tentativo di infilarlo per linee verticali, come si fa coi maglioncini. Faccio il simpatico osservando a voce alta che sono all’esordio nella bardatura e quello, il graduato, mi fa «sì, si vede» ma abbiamo rotto il ghiaccio. Mi è costato una figura da pirla ma va bene così, se giova alla causa.
Gli ambienti interni sono desolanti come lo sarebbe anche un palazzo di pregio architettonico nella tarda serata uggiosa e umida che prelude allo sconfinamento nelle prime ore del giorno appresso. Ma non si tratta di un palazzo elegante e neanche di una struttura normale. È un posto davvero brutto, organizzato come un carcere perché del carcere gli manca soltanto la denominazione.
Vabbé, entriamo e fraternizziamo col personale. Manco tanto però. Il dress code ci classifica altro da loro. E del resto tali dobbiamo restare nella dinamica delle procedure in corso di lì a poco.
Ma comincia il loop. Noi osserviamo loro, alcuni
dei quali, più di sottecchi di quanto avrei immaginato (deve essere in atto un involontario processo di “timidazione”) osservano noi che li osserviamo. Quando arrivano i ragazzi è presto chiaro che la nostra presenza contamina il setting. Gli attori percepiscono la nostra osservazione come una sorta di coazione a comportarsi come da manuale, quello delle regole codificate, non quello delle prassi incognite ai non addetti ai lavori.
E i lavori cominciano in concomitanza con l’allungamento della filiera delle procedure (identificazione, turni, consegna degli effetti personali, turni, andare a fumare fuori, turni, andare al gabinetto, turni) e l’allargamento del cerchio del loop. Perché, infatti ora ci sono anche i rimpatriandi che osservano noi che osserviamo gli addetti ai lavori (gli “scortisti”) che osservano loro, i rimpatriandi, ma nel frattempo osservano, ancora e per tutta la serata, di sottecchi, noi che osserviamo sé medesimi, gli addetti ai lavori mentre si addicono al lavoro in corso.
Ma anche noi osserviamo i rimpatriandi, a distanza, senza interferire ma poi l’ideale elastico ottico, si allunga e si allenta tante volte nel corso della serata e quando siamo più lontani, il campo si allarga e il quadro si completa: ora osserviamo i rimpatriandi che osservano noi che osserviamo gli “scortisti” ma anche gli “scortisti” che osservano sia i rimpatriandi che noi, sempre di sottecchi. C’è da meravigliarsi che il loop sia contestuale allo svolgimento delle operazioni, senza intralciarle minimamente. Il barone di Munchausen non sarebbe capace di fare meglio: già perché ora i monitor,
a furia di osservare, si affinano fino al punto di verbalizzare sull’accaduto. Affidando alla narrativa il compito di rendere, per quanto possibile, apprezzabile la capacità di osservazione su noi stessi che abbiamo osservato gli “scortisti” che hanno controllato i rimpatriandi che non hanno potuto fare a meno di osservare noi, impegnati nel monitoraggio di tutto quanto, ovvero nell’osservazione di chi sa di essere osservato e di chi sa di essere controllato da chi è consapevole di essere controllato a sua volta, mentre svolge il proprio compito di controllo.
Siamo certi di aver contribuito a legittimare l’esistenza di un posto terribile dove alcune persone, molte delle quali incolpevoli, nel senso di non essere state destinatarie di una sentenza di condanna per la commissione di uno dei reati che il diritto naturale considera tali, vengono ricacciate indietro per una bizzarra convenzione internazionale che elegge l’over booking a criterio univoco di decisione. Ma con la consapevolezza di aver contribuito, insieme a bravi e ben addestrati “scortisti”, a consentire che venisse scongiurato il pericolo di trattamento dello stesso degrado e della stessa inumanità del trattenimento appena concluso ma che prosegue, inumano e degradante per altri che seguiranno la loro sorte: di trattenuti prima e ricacciati poi. Col prodigio del loop dell’osservazione che ci procura una consolazione che però non è magra.