Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’altro Sud di Veneziani e la «Nostalgia degli dei»
Marcello Veneziani parla del rapporto con la sua terra e dell’ultimo libro, «Nostalgia degli dei»
Hanno già scritto, di questo libro, che porta in grembo tutti quelli del suo autore. E se ne chiediamo a Marcello Veneziani, lui risponde che non è certo un caso che abbia visto la luce, proprio ora, la sintesi di un pensiero composto in quattro decenni, che invita a intrattenersi sull’essenziale, abbandonandosi alla poesia, narrando dei dieci “dei” che animano il cammino.
Qual è il sentimento che la riconduce in Puglia?
«E’ la nostalgia delle origini, dell’infanzia, della famiglia, della nostra luce e della nostra cucina. Anche Primo Levi scandiva la nostalgia in tre verbi-chiave: “tornare, mangiare, raccontare”».
E cosa ritrova, dopo quarant’anni?
«La Puglia che ritrovo è bella e svuotata. Resiste nonostante le classi dirigenti, le amministrazioni pubbliche, i potentati locali, il degrado serpeggiante. Ma come il resto del sud si svuota. Il vero divorzio nelle famiglie meridionali è tra genitori e figli, che partono, e raramente tornano».
Il suo è un libro ottimista e ambizioso. Suggerisce l’amore per la luce e percorsi per un nuovo inizio.
«Non amo l’ottimismo e diffido dell’ambizione, ma certo Nostalgia degli dei è un atto di fiducia nel futuro, apre orizzonti ed evoca l’anima che non è solo la cosa più intima e vera che ci rende quel che siamo, ma è anche il filo d’Arianna che ci collega all’anima del mondo. Perché l’anima non è dentro il nostro petto, ma noi siamo dentro l’anima».
Stringe un patto d’acciaio con certa della psicoanalisi
«Freud ci ha descritto le caverne del subconscio, a me piacerebbe narrare i cieli degli dei che possiamo guardare solo se guardiamo la realtà con altri occhi. La visione di Jung e di Hillman degli archetipi è molto più compatibile con questa concezione».
Lamenta l’assenza di idee e ideali. Come Baricco, ne attribuisce responsabilità all’élite?
«Quando le élite diventa- no sette, oligarchie, caste, cessano la loro funzione di riferimento, non sono più classe dirigente ma classe dominante, sovrastante… Gli intellettuali sono ormai una categoria sterile».
Continuano a definirla “intellettuale di destra”. Gaber riderebbe molto.
«E’ una definizione che mi fa sentire un sarchiapone al quadrato perché gli intellettuali - come la destra sparirono nel Novecento, sono fantasmi o larve. Lasciamo cadere le bucce e pensiamo all’essenza: l’intelligenza anziché gli intellettuali, le idee e la visione politica anziché la destra e la sinistra».
Cinque capitoli si riconnettono al tema dei migranti.
«L’accoglienza è un’emergenza da governare e frenare con realismo, non può essere la prospettiva di una civiltà, di uno Stato, di un popolo. La migrazione è sradicamento e fa male a chi parte, a chi resta e a chi accoglie».
Ha mai letto, scusi, Alessandro Leogrande?
«No, mi spiace. Essendo un lettore vorace, sono costretto a selezionare i miei campi d’interesse»
Auspici per il nostro Sud?
«Vorrei che il Sud mutasse aspettativa, che dicesse cosa può dare all’Italia e al mondo. Che riprendesse a figliare, a ingravidare il futuro, che ripartisse dal Mito del sud, dalla sua luce bianca, dal suo luogo di Matria».
Chi si augura siano i suoi lettori?
«I curiosi e i convinti che il mondo non nasca dalla borsa e non finisca in uno smartphone. Ci sono molte più cose in cielo. E in terra. A cominciare dagli dei...»
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Il Meridione Vorrei che il Sud mutasse aspettativa, che dicesse cosa può dare all’Italia e al mondo