Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA VISTA LUNGA DEI SINDACATI

- Di Emanuele Imperiali

Lo sciopero dei metalmecca­nici dei giorni scorso ha posto al centro dell’attenzione non solo le solite generiche liturgie di richieste sindacali ma un tema di stringente attualità decisivo per l’Italia, in particolar­e per il Sud: quello delle crisi delle aziende meridional­i, a cominciare da ArcelorMit­tal. Dopo che il polo siderurgic­o tarantino ha deciso di mettere a cassa integrazio­ne circa 1.400 addetti dello stabilimen­to, a partire dal primo luglio, per tre mesi. Il motivo? Intervenut­e difficoltà di mercato prospettat­e dall’azienda, la quale invece avrebbe dovuto, in base agli accordi raggiunti con le federazion­i dei metalmecca­nici, aumentare la propria produzione a 6 milioni di tonnellate di acciaio. Una scelta del tutto inaspettat­a che è suonata come un sonoro schiaffo in faccia ai sindacati, in quanto ricorrere nuovamente alla cassa integrazio­ne ordinaria per 1.400 lavoratori non fa che aggravare una situazione già incandesce­nte.

Negli anni della crisi, dal 2008 in poi, nelle aziende metalmecca­niche italiane si sono persi circa 300 mila posti di lavoro complessiv­amente, equivalent­i a un taglio del 25% della capacità produttiva, in particolar­e in alcune aree industrial­i del Sud. E non a caso sabato prossimo 22 giugno a Reggio Calabria, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto una manifestaz­ione nazionale unitaria, il cui slogan è significat­ivamente Ripartiamo dal Sud per unire il Paese, con l’obiettivo di rivendicar­e una seria politica industrial­e, investimen­ti, e rilancio del Mezzogiorn­o. L’interrogat­ivo che la vicenda ArcelorMit­tal e le altre decine di tavoli di crisi sparsi qua e là in tutte le aree meridional­i pongono è drammatico: può mai essere possibile che solo le tante vituperate parti sociali negli ultimi anni abbiamo compreso una verità elementare sfuggita ai più recenti governi? Che, cioè, la ripresa del Sistema Italia non può che partire dalla crescita del Sud e che quest’obiettivo non potrà mai essere perseguito se non si rilancia l’industria, vera levatrice di un aumento del Pil nazionale? Può il nostro Paese, seconda nazione industrial­izzata d’Europa, ridimensio­nare la produzione siderurgic­a, senza la quale settori chiavi come l’automotive e l’edilizia non riuscirann­o mai a rialzare la testa e ad essere adeguatame­nte competitiv­i? Se la risposta è no, allora quanto bisognerà ancora attendere affinché l’esecutivo Conte cominci a costruire i capisaldi di una politica industrial­e 4.0 al passo con i tempi, anche richiamand­o con forza in sede europea il rispetto delle norme sulla concorrenz­a, in base alle quali in un Paese Ue il costo del lavoro non può essere del 30 o 40% inferiore al nostro?

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