Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La mani del caporalato anche su Matera
Sequestrati i terreni e beni degli imprenditori sotto inchiesta Nelle mani dello Stato ritorna un patrimonio da sette milioni
Sette milioni di beni e terreni sequestrati a imprenditori agricoli, «schiavi» nelle campagne materane e del Metapontino a lavorare ininterrottamente per 14 ore. Questa è la sintesi dell’operazione compiuta dalla Guardia di Finanza e che ha determinato il blocco delle attività per alcune aziende. I lavoratori venivano contattati essenzialmente attraverso i loro profili Facebook.
Adesso sì che hanno paura. Ora gli imprenditori agricoli di Matera e provincia possono iniziare seriamente a farsi due conti in tasca e proprio nel senso letterale del termine. Perché se una denuncia penale passa, la confisca dei beni, della «roba», quella no, resta e fa male, più di una condanna. Perché i soldi contano, soprattutto per chi commette illeciti per guadagnarne di più. E allora l’operazione di ieri dei carabinieri del comando provinciale di Matera oltre ad avere un effetto immediato con sette milioni di euro di beni passati nelle mani dello Stato, ha anche un immenso valore simbolico per tutti gli imprenditori agricoli che pensano di fare i furbetti, ma invece innescano un circuito criminale d’altri tempi. I «feudatari», padroni delle terre, i «caporali», che reclutano manodopera e «gli schiavi», quasi sempre africani o dei paesi dell’Est costretti a lavorare nei campi per 14 ore consecutive per pochi euro, che il più delle volte neanche vengono corrisposti.
Un’operazione che è la parte finale (o forse un nuovo inizio) di un’indagine partita nel 2018, culminata con tredici arresti nel gennaio del 2019 e arrivata nella fase, operativa, con un sequestro di aziende che fatturato dai 400 ai 100 mila euro all’anno. Il sostituto procuratore Franca Ventricelli della procura di Matera diretta da Pietro Argentino, ha firmato un decreto di sequestro preventivo che è stato eseguito sia dai militari del Provinciale, accompagnati dagli uomini della compagnia di Policoro, diretti dal capitato Chiara Crupi, con l’auslio del nucleo ispettorato del lavoro di Matera e Potenza. Sigilli sono stati affissi ieri mattina all’azienda agricola La Lucana Fruit di Massimo Giordano di Scanzano Jonico; la Giordanfruit di Antonio Giordano, che è a Scanzano; la ditta Valenza di Paolo Valenza, sempre a Scanzano, la Contea Agricola e la Morrone di Ciro Morrone, che ha sede a Policoro. Sono loro le aziende che sono finite nella bufera e in una indagine della Procura di Matera che è riuscita a mettere le mani sul patrimonio degli indagati che a breve riceveranno anche un avviso di chiusura delle indagini preliminari, probabilmente dopo la pronuncia del ricorso per Cassazione proposto dalla Procura contro la decisione del Riesame di cancellare per gli indagati l’accusa di associazione per delinquere.
«È un fenomeno vasto e che preoccupa, di certo si tratta di concorrenza sleale che genera non pochi danni alle ditte che lavorano nella legalità», ha detto il procuratore Argentino. «Falsa ogni regola di mercato perché pagare un bracciante tre euro, senza tasse, senza contributi genera profitto maggiore», ha spiegato. «È una operazione senza precedenti in Basilicata. Con il sequestro di oggi si lancia un messaggio forte e chiaro a tutti gli imprenditori che fino a oggi hanno fatto questi affari, e sono purtroppo ancora tanti», ha invece detto il comandante provinciale del carabinieri Samuele Sighinolfi.