Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Le vittime ricercate attraverso Facebook Poi dodici denunce
In dodici hanno confermato di essere diventati schiavi. Un interrogatorio lungo, a tratti difficile, dove qualcuno ha provato a raccontare una versione dei fatti più «leggera», ma solo per paura di ritorsioni. Altri invece sono scappati prima di essere convocati in Procura. Un incidente probatorio, ovvero un anticipo della prova, che ha messo un macigno enorme sull’inchiesta del nuovo caporalato tra Tursi e Scanzano Jonico e che ha coinvolto a gennaio già tredici persone. Ma la svolta è arrivata anche grazie alla fiducia che gli schiavi del terzo millennio hanno riposto nella polizia giudiziaria e nella magistratura nonostante fossero in uno stato totale di soggezione economica e psicologica.
Una indagine che è partita grazie alla denuncia e al coraggio di un ragazzo che era in uno dei campi a raccogliere frutta e che veniva pagato per ogni ora di lavoro 3 euro. Ma quei soldi non gli arrivavano mai perché quelli che erano i suoi datori di lavoro avevano scuse di ogni genere: c’è da pagare il vitto, l’alloggio, le spese di trasporto. E così, paradossalmente, il lavoratore si trovava quasi in debito.
Oltre 200 persone sfruttate e un milione e trecentomila euro di profitti illeciti. È stato questo il tesoro racimolato da una coppia di nazionalità rumena a capo dell’organizzazione che trasferiva bulgari e romeni fino a Policoro per poterli sfruttare. A capo della gang Lucia Liliena Palade e Aurel Dragos Mazilu che ricevevano i braccianti provenienti dalla Romania e gli spiegavano come comportarsi, non esitando in qualche caso anche a picchiarli se non ubbidivano alle indicazioni. Tra gli arrestati di gennaio anche Ciprian Zahiu, Filica Vilceanu e Adriana Mocanu, tutti braccianti agricoli che fungevano da autisti per i due «caporali». Non meno importante il ruolo di alcuni imprenditori agricoli o dipendenti di imprenditori che hanno usufruito dei servizi dei «caporali». Tra gli altri arrestati c’erano l’imprenditore Paolo Valenza, Massimo Giordano e Antonio Giordano e l’imprenditore Ciro Morrone le cui ditte sono state sequestrate ieri.
Per attirare le ignare vittime nella trappola e renderli schiavi, gli annunci arrivavano direttamente sui social, e in particolare su Fb. «Ho letto su una pagina facebook di un’offerta di lavoro in Italia, ho chiamato al numero che c’era sulla pagina e mi parlavano di un lavoro come bracciante agricolo a Policoro con una paga di 3,5 euro all’ora. Interessato all’offerta sono arrivato a Bucarest e ho pagato 150 euro per l’intermediazione e 100 per il biglietto che mi ha portato a Policoro», ha raccontato il testimone chiave. In Italia, poi, i «caporali», lo hanno reso schiavo: «Ero senza soldi e documenti».