Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sulla gratitudine ovvero il Sistema delle carognate
er anni mio padre, durante certi racconti simili a una condanna, si lamentava in toni biblici del proprio parentado. Colpevole di aver abusato per anni della dissennata liberalità di mio nonno, salvo volatilizzarsi alla morte improvvisa dell’anfitrione. Lasciando così allo sbaraglio la vedova, una donna singolarmente poco pratica. Da ciò le teorizzazioni pessimistiche di mio padre intorno all’ingratitudine umana. Aveva ragione? O erano solo razionalizzazioni per giustificare la sua innata misantropia?
E qui veniamo a Roberto. Roberto che era parecchio più giovane di me. Ciò nonostante aveva fatto molta più carriera superandomi, di slancio, negli organigrammi aziendali. Non gliene ho mai voluto — non sono il tipo — a parte che meritava di farsi strada. L’avevo intuito dal suo primo giorno con noi, del resto, quanto fosse reattiva la sua mente. Una pallina da flipper che schizzava su traiettorie sempre mirate. Possedeva un’intelligenza tale da consentirgli perfino l’insolenza; viceversa cercava sempre di non surclassarti in maniera plateale. Così gli rimanevi grato, come se ti avesse condonato un debito di gioco. Quando mi soffiò una promozione a cui ambivo da secoli, restai con un po’ di amaro in bocca. Lui, però, seppe riconquistarmi in breve tempo. In primo luogo non facendo mai pesare il ribaltamento delle gerarchie; in secondo luogo sopperendo alle mie lacune verso i nuovi pacchetti informatici. Insomma: i nostri rapporti si stabilizzarono ed io non gli feci mai mancare la mia lealtà. Nel frattempo Roberto aveva messo su famiglia, sua moglie aveva avuto due bambini a poca distanza l’uno dall’altro. Maschio e femmina, l’abbinamento ideale. Per alcuni anni filò tutto con il vento in poppa, per lui. Fino alla sua prima assenza per malattia, inaudita per uno stacanovista del genere. Fece scalpore, dopo anni di presenza continua in sede e in trasferta per mezza Europa (spesso con me, il che aveva finito per consolidare il nostro affiatamento).
Seguirono altri periodi di malattia, a scadenze sempre più ravvicinate. Iniziarono a circolare strane voci; era prevedibile, non sono nato ieri. Tutto un sibilare di serpi: si sussurrava che Roberto bevesse, che fosse affetto da tremiti alle mani, avvisaglia di un prossimo scadimento cognitivo quando non di peggio. Queste maldicenze, pilotate da invidiosi che ambivano a subentrargli, si fecero preoccupanti quando orecchiai dei mezzi discorsi, al distributore automatico di bevande. Fu così che mi decisi. In svariati anni di lavoro gomito a gomito, Roberto aveva sempre accuratamente omesso di invitarmi a casa sua. Né, peraltro, avevo mai avuto occasione di aggirarmi in questo quartiere residenziale, immerso in un verde che ammantava la zona di pace naturale. All’ultimo piano del suo civico una balconata che sperai non gli appartenesse: desolatamente sguarnita di piante, non collimava con il ricordo di sua moglie Marta, che venne ad aprirmi. L’avevo festeggiata al loro matrimonio dieci anni prima, quando sembrava più giovane dei propri anni: una ragazza con un taglio sbarazzino, il fisico minuto e svelto, una certa grazia luminosa. Dopo aver sgranato gli occhi, Marta mi fece accomodare fingendo cordialità. Stavolta era dimessa, insicura, con un’aria colpevole (e invecchiata). Mi scusai per l’improvvisata; addussi come pretesto delle questioni riservate di lavoro, impossibili da trattare se non di persona.
«Sì sì, certo», annuì convinta, «Roberto stava riposando un po’. Lo chiamo subito».
Cosa mi colpì durante l’attesa in salotto? L’arredamento era prevedibile: patinato, di tendenza, con opere minimaliste che risaltavano sulle pareti solo grazie alla cornice. La foto di famiglia incorniciata sul tavolino di cristallo, invece, senza volerlo teneva aperto uno spiraglio sul loro microcosmo familiare. Con i coniugi che si spartivano, tenendoli sulle rispettive ginocchia, la bambina e il maschietto. Il bimbo aveva una dolcezza fuori fuoco che alludeva a qualche impedimento cui non avrei saputo dare un nome. La femmina — sui dieci anni, con una precoce seduttività nell’atteggiamento e nello sguardo obliquo — avrebbe sicuramente regalato a Roberto dei grattacapi anzitempo. Roberto, per l’appunto. Mi comparve davanti quasi irriconoscibile, spettinato e con la barba incolta. Solo in quel momento mi resi conto di quanto la sua corporatura si fosse imbolsita in così poche settimane. L’alcol gonfia, così come certi psicofarmaci.
Più che abbracciarmi, Roberto dava l’idea di essermi caduto in braccio. Decisi di andare al sodo. Occorreva una secchiata d’acqua gelida per riportarlo al brutale esame della realtà. La realtà: certe calunnie sul suo stato psico-fisico erano arrivate a destinazione. In alto si meditava un demansionamento. La Direzione non poteva consentire che un uomo di punta lasciasse sguarnita la plancia di comando. Una carognata necessaria; del resto il Sistema vive di carognate necessarie, è noto. Altri parlano di darwinismo, ma io non avevo e non ho voglia di fare polemiche. A me premeva solo far spalancare i suoi occhi stretti, insonnoliti. Due fessure che, pian piano, provavano ad aprirsi. Roberto e il suo borbottio, il suo masticare amaro. La consapevolezza che gli stava risalendo all’improvviso, come un rigurgito. Si alzò con uno sforzo della volontà dalla poltrona dov’era affondato. Il suo ringraziamento con una voce impastata, biascicando. Volle stringermi a sé mentre, con un senso di pena, sentivo un suo avambraccio ricadermi sopra la spalla a peso morto. Mi congedai, sforzandomi di incoraggiarlo, con il presentimento che il suo destino professionale fosse ormai segnato. L’azienda l’avrebbe espulso da sé come un batterio. Sbagliavo. Dopo dieci giorni - lucido, dimagrito — rioccupò il suo ruolo con il piglio intimidatorio di chi vuole disperdere gli usurpatori. Alla prima ristrutturazione indicò il mio nominativo fra coloro a cui fare la pelle. Per sopravvivere sono dovuto subentrare nella licenza di un chiosco che vende hamburger, la notte.
A distanza di qualche anno ho attenuato il mio rancore verso di lui. Riesco ad oggettivarlo in quanto padre di famiglia. Magari bottiglia e benzodiazepine gli servivano per silenziare gli scrupoli rispetto a certe decisioni che, prima o poi, la Direzione gli avrebbe imposto. Chissà. Il Sistema vive di carognate necessarie, mors tua vita mea. Alcuni discettano di una salvifica legge del mercato. Altri parlano di darwinismo. Io non ho voglia, proprio non ho voglia di fare polemiche.
Era intelligente fino all’insolenza E cercava sempre di non surclassarti in maniera plateale Così gli rimanevi grato, come se ti avesse condonato un debito di gioco