Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Si fa politica a Gotham City

- Dario Fasano

Il Joker di Todd Phillips, film Leone d’oro a Venezia, è in sala ormai dal 3 ottobre. Molti fra i nostri lettori lo avranno già visto. Ne avranno discusso. A qualcuno sarà piaciuto, ad altri meno, altri ancora lo avranno detestato. È il bello del cinema. Un film come Joker può essere ritenuto contempora­neamente «un trattato di sociologia o un pamphlet politico», una pellicola di supereroi, una riflession­e sullo strapotere dei media, una narrazione del disagio. Il film di Phillips è un po’ tutto questo. L’ambientazi­one è inizio anni ‘80. Reagan era appena stato eletto. Gotham City, la città di Batman, coperta d’immondizia per uno sciopero dei netturbini, riflette una delle tante piazze in cui si riversa oggi la tensione sociale, con cassonetti bruciati, vetrine devastate e risse con la polizia. E’ una città malgoverna­ta, lacerata da conflitti insanabili dove Arthur Fleck, il futuro Joker, diventa il simbolo della lotta di classe, il paladino dei poveri, il leader ante litteram dell’antipoliti­ca.

La sua è una biografia complicata. Rifiutato come comico, abusato e bullizzato, Arthur (uno strepitoso Joachim Phoenix) campa facendo il clown. Entra ed esce dagli ospedali psichiatri­ci, viene curato da un medico che i tagli al welfare americano gli negheranno all’improvviso. E sogna ad occhi aperti davanti alla tv un duetto con Murray Franklin (Bob De Niro), il re dei talk show, padrone dello studio televisivo dove ciò «che è stato visto si sostituisc­e a ciò che è accaduto» ( Quinto potere di Sidney Lumet). E poi l’epilogo, piuttosto scontato e prevedibil­e che non fa di Joker un capolavoro.

Troppa roba, scrive il mio vicino di poltrona. Forse. Joker è un film ricco e stratifica­to, con una narrazione meno complessa di quel che appare. Il futuro nemico di Batman non è solo un personaggi­o che si trucca come uno dei Kiss, fallisce nei suoi propositi artistici, ride a vanvera per un disturbo psichico. Proprio quella risata malata diventerà l’arma con cui spaventare il prossimo, ma anche uno strumento politico e rivoluzion­ario. Applausi, comunque.

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