Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Omicidi, «stese» e tanta droga «Altro che Gomorra, è Japigia»
I nuovi boss si vantavano al telefono, 24 arresti. Giannella: sottocultura che passa dal cinema
Taglie sulle teste dei nemici pagate con grosse partite di droga e incursioni di gruppi armati (le cosiddette “stese” in gergo mafioso) per terrorizzare i nemici. E poi ancora intercettazioni durante le quali gli autori delle stese commentano compiaciuti il loro operato: «Qua mi sembra che non devono fare Gomorra, devono fare Japigia».
Ed è proprio il quartiere Japigia di Bari al centro di una inchiesta della Procura antimafia che, all’alba di ieri, ha portato all’arresto di 24 persone (sette dei quali erano già detenute) tutti pregiudicati del clan Parisi-Palermiti e del gruppo rivale dei Busco.
I provvedimenti cautelari in cui, oltre a due omicidi, vengono contestati i reati di droga, armi, rapina e estorsione, sono stati eseguiti dai poliziotti della squadra mobile che hanno indagato sulla spaccatura interna al clan Parisi-Palermiti causata dal business della droga. «Il rancore tra le due compagini «in condominio» a Japigia scrive il gip Giuseppe De Benedictis nell’ordinanza - covava da lungo tempo e cercava solo un pretesto per manifestarsi».
Tra gli arrestati figura Antonio Busco, ritenuto il figlioccio del boss Savinuccio Parisi (detenuto) che – emerge dalle indagini - aveva iniziato a rinnegare l’appartenenza ai Palermiti, alleato dei Parisi, tentando una scalata personale al potere. La decisione di punirlo arriva la sera del 17 gennaio 2017 quando fu ucciso il suo pusher, Francesco Barbieri, considerato uno dei più validi spacciatori di cocaina di Bari (faceva affari soprattutto negli «ambienti bene di Bari») e per anni ne aveva smerciato 20 chili al mese, acquistandola dal gruppo Palermiti. Ma, ad un certo punto, aveva cambiato rotta e iniziato a comprare lo stupefacente da Busco. «In questo contesto, in cui i Palermiti erano già profondamente irritati per la società nata in loro danno, (il gruppo Busco, ndr) - scrive il gip - la goccia che ha fatto traboccare il vaso, scatenando la vendetta a mano armata dei Palermiti, è stato il cambio di bandiera del Barbieri». La morte dello spacciatore fu vendicata la sera del 6 marzo 2017 in via Peucetia con l’omicidio di Giuseppe Gelao e il ferimento di Antonino Palermiti, probabilmente vero obiettivo dei sicari. La risposta a quest’ultimo fatto di sangue arrivò nel tardo pomeriggio del 12 aprile in via Archimede, roccaforte di Savinuccio Parisi, dove un commando armato di mitragliette e pistole uccise Nicola De Santis. Una delle pallottole forò la porta di un’aula del liceo Salvemini che si trovava a pochi metri dal luogo dell’agguato. Fortunatamente a quell’ora a scuola non c’era nessuno. Su questo terzo omicidio le indagini sono ancora in corso.
Oltre agli scontri armati nel quartiere si sono susseguiti numerose azioni di forza «in perfetto stile mafioso» che avevano lo scopo di cacciare Busco e i suoi adepti dal quartiere: nelle carte vengono elencati i tentativi di rintracciare e assassinare Busco, Davide Monti (l’ex «bambino con la pistola») e Giuseppe Signorile (tutti arrestati ieri) e episodi di intimidazione. Incendi di auto dei familiari di Busco, di Signorile e della vedova di Barbieri e di sua sorella «colpevoli» di aver augurato sui social network la stessa fine che era toccata al familiare. E poi c’erano le incursioni di gruppi armati. Ne cita una in particolare il gip: una spedizione davanti all’abitazione di Giovanni Di Cosimo in via Archimede: «armati e a bordo di 12 o 13 motorini e con i caschi alzati raggiungono il cortile della casa e, una volta giunti, è bastato che uno di loro prendesse l’iniziativa di sparare un colpo in aria che tutti gli altri prontamente lo hanno emulato all’unisono, arrivando a sparare anche con un kalashinikov. Il tutto per una mezz’ora senza che nessuno dei residenti abbia mai chiamato le forze dell’ordine. Gli stessi autori del fatto hanno detto e ripetuto in casa di Domenico Milella (arrestato ieri) che sotto casa di Di Cosimo sembrava che fosse la scena del film Gomorra».
«Uno dei più grandi quartieri della città è stato controllato in senso mafioso al cento per cento anche attraverso le «stese» che rappresentano una forma di sottocultura che passa attraverso una forma di arte cinematografica che ha poi gli effetti che vediamo» ha detto il procuratore aggiunto Francesco Giannella.
Lo scontro
Dalle indagini della polizia è emersa una guerra tra clan storici ed emergenti