Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
È una poesia filmata
Di fronte alla complessità della vita siamo tutti come ilcalabrone citato in apertura del film. Siamo tutti squi-librati, ma ce la facciamo lo stesso: lui, il calabrone, avolare, nonostante la struttura alare apparentemente insuf-ficiente; noi a vivere, nonostante la fragilità fisica ed emotivache ci contraddistingue. Ma c’è di più, sembra dire Salvato-res. Il calabrone ce la fa per un deficit di consapevolezza, perché se ne frega di avere le ali piccole; noi, invece, possia-mo farcela solo se ci liberiamo della natura e della culturache ci condizionano. Se questo è vero, siamo anche come Vincent, il giovane autistico che tieneinsieme le storie di Tutto il mio folleamore: quella del padre naturale chescappa e riappare all’improvviso; quelladel padre adottivo che, al contrario, en-tra ed esce dolcemente dalla vita del ra-gazzo; e quella della madre che lo ritro-va davvero solo quando lo lascia anda-re. Ma che questo sia l’unico senso pos-sibile del film è da escludere.La ragione sta nel fatto che per noivale ciò che Salvatores fa valere per Vin-cent. Il ragazzo vede le parole, cioè le hain testa, ma riesce a usarle per comuni-care solo quando ha uno schermo e unatastiera a disposizione. Noi abbiamodelle sensazioni, ma riusciamo a met-terle a fuoco solo quando le immaginidi Salvatores si sovrappongono ad esse. In altri termini, piùche un racconto, questo film è una poesia, perciò regge poco l’accostamento ad altri titoli tipo Rain Man (dove pure c’eraValeria Golino). Come una poesia, questo film è fatto di me-tafore, di scene magicamente intrecciate, e sta stretto in unordine esclusivamente razionale. Ciò spiega perché Tutto ilmio folle amore è stato valutato severamente da alcuni e en-tusiasticamente da altri. Io non ho dubbi: sto con i secondi.E sono ora convinto di poter aggiungere il nome di Claudio Santamaria nella non lunga lista dei nuovi grandi attori ita-liani. Golino e Abatantuono già c’erano.