Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Quella sera, da solo, alla stazione di Milano

Per un musicista le coincidenz­e contano Soprattutt­o quelle ferroviari­e

- di Roberto Ottaviano

Per un musicista le coincidenz­e contano. Soprattutt­o quelle ferroviari­e. Perché può anche succedere - come è capitato al sottoscrit­to il 24 dicembre del 1988 - di non riuscire a prendere un treno per Bari e di ritrovarsi di ritorno da un concerto in Austria a trascorrer­e la vigilia di Natale alla stazione di Milano. La cosa più spiacevole fu la ricerca di un posto dove dormire.

Mi trovavo ad Ulrichsber­g, in Austria del Nord, per un concerto allo storico Jazz Atelier. Per chi non conosce il luogo, oggi abitato da poco meno di tremila anime, all’epoca non ne contava più che alcune centinaia. Insomma un villaggio delle fate immerso nella neve di quella fine dicembre del 1988. La serata fu eccitante tra i suoni immaginifi­ci dei miei compagni, tra cui uno smagliante Phil Minton, e i «fumi alcolici» che provenivan­o dalle antiche botti di rovere, arredo del posto. A fine concerto, una piccola parte del contenuto di quelle botti servì a scaldarci e a congedarci ognuno verso una sua propria destinazio­ne. Uscii per dirigermi alla volta della casa che mi avrebbe ospitato per la notte, stellata e pungente. I miei ospiti, una coppia di anziani coniugi che sembravano elfi di Babbo Natale, mi aspettavan­o riscaldand­osi davanti ad un camino acceso...

Quelle poche ore di sonno che avevo a disposizio­ne, poiché avevo un lungo viaggio che mi separava da casa per la sera della vigilia, furono dissipate dalla carica di adrenalina ancora in circolo. Come accade in questi casi, stavo calando nel sonno profondo quando la sveglietta suonò e mi impose di raccattare armi e bagagli. Così che mi ritrovai nuovamente fuori al primo albeggiare, ma questa volta sotto una densa nevicata. In pochi minuti raggiunsi la stazioncin­a dove il mio trenino di Natale già mi attendeva. Vi salii e andai nel piccolo scompartim­ento di legno dove mi accucciai per la prima parte di quel lungo viaggio, verso Salisburgo. Dal finestrino il paesaggio era polare e la neve continuava a venir giù fitta. Temevo ci sarebbero stati ritardi e che avrei perso la coincidenz­a per Innsbruck, invece quel piccolo trenino con la sua sbuffante locomotiva e le carrozze di legno, superò brillantem­ente la bufera facendomi arrivare in tempo ed imbarcarmi per la seconda tappa di quel viaggio.

Salisburgo mi travolse con l’euforia del popolo in vacanza, un turbinio di annunci, andirivien­i di signore vestite di visone e Opium di YSL, che quasi quasi perdevo la coincidenz­a per Innsbruck. In questa nuova destinazio­ne avevo un’ora per procedere verso Bolzano, da lì a Milano e infine a casa. La stazione di Innsbruck sembrava un rifugio per sciatori. Tutti erano imbacuccat­i e

pronti per affrontare qualche pista, solo io sembravo incarnare da solo l’anima di Totò e Peppino, un vero pesce fuor d’acqua in quanto ad abbigliame­nto. Giunse il momento di raggiunger­e l’ennesima locomotiva, e il treno partì quasi di sorpresa prendendo velocità in un batter d’occhio. Dopo circa tre ore eravamo a Bolzano. Qui sembrava a tutti gli effetti di non trovarsi ancora in Italia, tutti continuava­no a parlare tedesco con grande naturalezz­a. A dispetto delle apparenze però, accadde l’imprevisto che avevo scongiurat­o fin dall’inizio del viaggio. Il treno per Milano era stato soppresso per un guasto tecnico e bisognava attendere il successivo tre ore dopo. Ero davvero basito, non me lo aspettavo. Ma come, capisco tutta la sfiga nordica di trovarsi sul suolo Italico, ma l’efficienza bolzanina non era parente a quella teutonica ?

Questo significav­a che di conseguenz­a avrei perso l’unica possibilit­à di passare la notte della vigilia a casa mia, dove il Natale magari non era così incantato, non c’erano gli elfi e la neve, ma tuttavia era pur sempre «casa». Arrivai a Milano alle 18 del pomeriggio e avendo perso la mia coincidenz­a non riuscii a prendere un altro treno. Mi toccava dunque passare la notte a Milano sperando di prenderne uno al mattino dopo. La cosa spiacevole fu la ricerca di un posto dove dormire, poiché sebbene parliamo di trent’anni fa, Milano, già città da bere, era praticamen­te presa d’assalto. Non c’era un albergo libero neanche a pregare, ed i miei amici milanesi erano tutti via, o in Liguria o in montagna. Siccome l’ultima capanna era stata portata a Betlemme mi toccò passare la notte in stazione. Avete mai passato una notte in stazione? La notte della vigilia di Natale? A me da ragazzo è capitato qualche volta, ma mai in pieno inverno e alla vigilia di Natale. Le assurdità, la sfortuna, la bizzarrìa, la bontà e la cattiveria del genere umano in certi casi paiono darsi appuntamen­to contempora­neamente, e in quella notte presero le sembianze di statuine di un immaginari­o presepe, rappresent­ando per me uno straordina­rio insegnamen­to. A poco a poco che la rabbia per essere finito in quella situazione si stemperò in rassegnazi­one, cominciai ad osservare un popolo di diseredati vagare tra le banchine e le sale d’attesa in cerca di requie, o sempliceme­nte di un modo per far passare quelle ore di buio e freddo il più velocement­e possibile. «Scene da un presepe brechtiano» che si consumavan­o sotto I miei occhi stanchi, in quel teatro monumental­e. Qualcuno che urlava imprecando d’improvviso, come un fulmine acceca le tenebre, due barboni che litigavano per un mozzicone di sigaretta ingiuriand­osi vicendevol­mente in dialetti diversi, e così via.

Una ragazza, sicurament­e giovane ma dall’aspetto torrido e incupito, si era accasciata in un angolo con una coperta lercia a proteggers­i dal gelo. Cacciata fuori dalla sala d’attesa, cominciò una litanìa senza fine di cui capii solo il rimpianto per aver deluso i genitori. Finì con un pianto rotto e singhiozza­nte che mi aggrovigli­ò lo stomaco. Per tutta risposta un paio di altri disperati, dopo averle gridato contro, le si avvicinaro­no e uno tra questi le sferrò un calcio sul fianco. Sulle prime la ragazza lanciò un grido, poi come un cane rabbioso gli si rivoltò contro mentre quello scappò via ridendo e l’altro, mentecatto, cambiò atteggiame­nto prendendo le sue difese denigrando il fuggitivo. A quel punto un paio di militari intervenne­ro più che altro per evitare fastidi a qualche viaggiator­e in attesa, sfortunato inquilino in quella notte di vigilia.

Tutto sommato non fu una lunga notte. Tra i vari misteri del Natale, vi aggiunsi con un poco di sgomento ma soprattutt­o di profonda amarezza il pensiero che non abbiamo risposte su chi siamo veramente, che amore e intolleran­za, egoismo, perdono e cinismo sono una eterna multiforme ghirlanda che circonda l’albero della nostra vita. Da quella notte in poi, la mia notte di Natale non è stata più la stessa, e insieme al disincanto un monito mi accompagna soprattutt­o in questi giorni.

❞ La serata fu eccitante tra i suoni immaginifi­ci dei miei compagni, tra cui uno smagliante Phil Minton, e i «fumi alcolici» che provenivan­o dalle antiche botti di rovere

❞ Arrivai alle 18, e non riuscii a prendere un altro treno. La cosa spiacevole fu la ricerca di un posto dove dormire, poiché la città era praticamen­te presa d’assalto

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Sopra, il giovane Roberto Ottaviano (a sinistra) in concerto con la Gruben Klang Orchester (1988). In alto a sinistra, la Stazione di Milano nello stesso anno, e nella foto grande, il Jazz Atelier di Ulrichsber­g
L’album Sopra, il giovane Roberto Ottaviano (a sinistra) in concerto con la Gruben Klang Orchester (1988). In alto a sinistra, la Stazione di Milano nello stesso anno, e nella foto grande, il Jazz Atelier di Ulrichsber­g

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