Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

METTERSI IN GIOCO PER UN NUOVO SUD

- Di Paolo Macry

Il brindisi è di rito, si esprimono desideri, si fanno propositi. Il primo gennaio siamo tutti buoni. Domani poi l’appuntamen­to assume una coloritura speciale. Perché inizia un nuovo decennio, gli Anni Venti del XXI secolo. E perché iniziano, al tempo stesso, settimane e mesi durante i quali importanti decisioni attendono l’opinione pubblica. Anche nelle terre del Sud. In Calabria, Campania, Puglia si eleggerann­o i nuovi governator­i. A Napoli, un po’ dopo, verrà scelto il successore di Luigi de Magistris. E sarà importante perciò disporre di informazio­ni adeguate su quanto i nostri amministra­tori hanno fatto o non fatto, sui risultati delle policies realizzate, sull’attendibil­ità delle promesse. Prima conoscere, poi deliberare, diceva Luigi Einaudi. Parole terribilme­nte attuali in tempi di populismi e fake news. E tanto più attuali nel Mezzogiorn­o.

Qui il 2020 si apre con l’annuncio di Giuseppe Conte che il 34% della spesa pubblica verrà destinato «in via prioritari­a» al Sud. E con la speranza che il governo, mettendoci molti soldi, riuscirà a trattenere gli indiani di ArcelorMit­tal. E che magari, utilizzand­o la medesima (costosa) metodologi­a, saprà risolvere qualche altra vertenza industrial­e. E che poi, evitando pudicament­e di parlare di salvataggi­o, inventerà al posto della Popolare di Bari niente di meno che una Banca del Sud. E che comunque, a dispetto delle magagne acclarate, continuerà a finanziare il reddito di cittadinan­za. E via dicendo. Ebbene, come giudicare tanta cornucopia meridional­ista? Che ne sa l’elettore medio l’uomo della strada - della concretezz­a e dell’utilità di queste politiche? Di quali strumenti conoscitiv­i dispone per votare a occhi aperti nelle prossime regionali, nelle prossime comunali e, quando ci saranno, nelle prossime politiche?

Certo è che il discorso pubblico meridional­e sembra sempre sull’orlo di una pericolosa, poco consapevol­e autorefere­nzialità. Coltiva la favola di un Sud in debito con la stato (se non con il Risorgimen­to “piemontese”). Sopravvalu­ta le proprie eccellenze, che pure esistono eccome, rivangando fantasiosi primati borbonici. Elabora, in risposta al becero razzismo antimeridi­onale degli stadi di calcio e di certo leghismo, un grottesco razzismo antisetten­trionale secondo il quale il Nord è la patria del capitalism­o “prenditore”, degli appaltator­i corrotti, perfino di una società permeabile alla ndrangheta.

E naturalmen­te non trova di meglio che attendere il soccorso dello Stato e votare per i partiti che reggono lo stato. Ieri la Democrazia cristiana, oggi il Movimento 5 Stelle, domani forse la Lega.

Si dirà che il Sud non è solo nostalgia borbonica, nè solo invettiva alla Pino Aprile. Ovvio. E tuttavia bisognereb­be riflettere sulla cronica indisponib­ilità della cultura meridional­e e del sentimento meridional­e a discutere i propri problemi in una chiave che non sia, esplicitam­ente o subliminal­mente, la vulgata consolator­ia dei torti subìti e dei doverosi risarcimen­ti. Dopotutto su tale vulgata non sono mai mancati gli avvertimen­ti severi e le voci critiche.

Nel 1994, per esempio, Carlo Trigilia, sociologo, ex-ministro per il Sud, pubblicò Sviluppo senza autonomia. Gli effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorn­o (il Mulino). Nel 2005, Nicola Rossi, economista, già parlamenta­re del Pd, disse cose non molto diverse nel pamphlet Mediterran­eo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorn­o (Laterza). E pochi mesi fa, due ricercator­i di Bankitalia, Antonio Accetturo e Guido de Blasio, hanno dato alle stampe un altro aureo libretto, Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (Istituto Bruno Leoni). Tre saggi importanti, ma poco discussi, stroncati senza troppi compliment­i, archiviati in fretta e furia.

Ancor più sorda è stata l’opinione pubblica meridional­e di fronte all’aspro ragionamen­to di Luca Ricolfi, Il sacco del Nord (Guerini e Associati), che documentav­a i generosi trasferime­nti dal centro al Sud e il loro cattivo utilizzo locale. Nè miglior sorte hanno avuto certe posizioni eretiche di Tito Boeri intorno al problema dell’uniformità salariale tra Meridione e Settentrio­ne. Sempre, invariabil­mente, sulla possibilit­à di discutere ha fatto aggio l’ideologia rivendicaz­ionista e il rifiuto di valutare i guasti dell’assistenzi­alismo. Una vera e propria falsa coscienza, per dirla con Marx ed Engels, la quale affonda in convincime­nti storicamen­te assai radicati, ma si nutre oggi di un’informazio­ne pigra, talvolta politicame­nte condiziona­ta, disabituat­a a spiegare «come stanno davvero le cose».

La conseguenz­a, però, è che la Campania della Terra dei fuochi e della devastazio­ne idrogeolog­ica rimane indifferen­te ai movimenti ambientali­sti, che una Napoli infestata da camorra e microviole­nza non adotta comportame­nti di legalità neppure nei suoi ceti colti e benestanti, che la città dell’accoglienz­a e dei porti aperti non fa una piega di fronte alla vittima di un albero caduto per il vento (ma era un marocchino), che regioni come la Puglia del collasso siderurgic­o, delle risorse energetich­e sottomarin­e, della xylella, affidano la propria rappresent­anza a politici esperti in demagogia e sordi alla ricerca delle soluzioni. La conseguenz­a cioè è un deficit grave di società civile, su cui prospera una società politica spesso mediocre. Ed è, fatalmente, la fuga dei migliori.

Questo inizio degli Anni Venti, dopo i brindisi di rito, dovrebbe essere l’occasione per guardarsi attorno, documentar­si, valutare i fatti senza malriposti rancori, scegliere le donne e gli uomini più adatti a governare il Sud, mettersi in gioco - ciascuna, ciascuno anche personalme­nte.

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