Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Dalla A di Arcelor alla zeta di Zalone l’alfabeto del 2019
L’infinita telenovela di ArcelorMittal, la crisi della Banca Popolare di Bari, il boom degli aeroporti e il carabiniere ucciso nel Foggiano. Che 2019 è stato? Lo raccontiamo con le lettere dell’alfabeto, ricapitolando fatti e storie dell’anno che sta per concludersi.
Acome ArcelorMittal. Se ne vanno, anzi restano. Spengono gli altiforni, anzi no. Ci sono rimasti male per lo scudo penale. In mezzo la vita delle persone, intesa come necessità di procurarsi un sostentamento per tirare avanti, come necessità di abitare in un ambiente che consenta di farlo. Niente meglio di questa vicenda esprime la nebbia in cui si è nascosta l’Italia. B come Banca Popolare di
Bari. Un prestito ne impedisce il fallimento, un altro ne sancisce l’estinzione. Il primo gliel’ha concesso il governo, che tanto le banche moribonde sono più meritorie dei correntisti ai quali ormai si negano anche due spicci per comprare un’auto. Il secondo gliel’ha negato la storia, archiviando l’istituto nel capitolo in cui se ne trovano molti altri: quello della finanza che insulta lo Stato quand’è sul podio e lo implora quand’è sul baratro. C come campagne. Non quelle elettorali, ma quelle vere. Circondate da sterrati, tratturi e vie della transumanza. Le stesse campagne che hanno segnato la ricchezza del Mezzogiorno ma a un certo punto hanno lasciato l’orizzonte alle piantagioni di fotovoltaico e alle distese di pale eoliche. Con il Psr pugliese a far la guardia al nulla, con un mucchio di soldi ostaggio delle norme. D come Donato Carrisi.
Thriller o non thriller, Carrisi non interpreta alcun ruolo, se non quello di chi ha avuto uno straordinario successo internazionale. Solo questo basterebbe a dire che l’ha meritato. E come Emiliano o Elena (nel senso di Gentile). Chi sarà il candidato governatore del centrosinistra? Si saprà tra breve. Ciò che invece sappiamo già è che la Puglia sembra aver perso la spinta che l’aveva trasformata in un fenomeno – soprattutto mediatico – nazionale. F come Foggia, la peggiore delle pugliesi nella classifica de Il Sole 24 Ore. Oltre le graduatorie, la città da molti anni attraversa un degrado sociale ed economico da cui non riesce a uscire. Andrebbe aiutata, da tutti. Perderla non conviene a nessuno, significherebbe rinunciare alla terra che mille volte ha insegnato ai pugliesi cosa significano cuore, pazienza e ospitalità. G come graffiti. Il 5 maggio scorso l’artista Mauro Roselli ne ha consegnato uno unico nel suo genere. A Bari, rione San Paolo. Unico perché non interpreta desideri di rivolta o bisogni di vendetta, ma ritrae San Nicola. La street art parla un’altra lingua, punta alla seduzione della pace. Lo conferma l’altro grande murales che sta facendo parlare di sé l’Italia, quello realizzato a Foggia da Alessandro Tricarico (in realtà una gigantografia) e che ritrae un senza tetto. H
come Hotel Regione Puglia. Circa cento milioni per costruirlo, una delle sedi più avveniristiche, suggestive e costose del Paese. Per metterci dentro cosa? Un bel segnale sarebbe stato il taglio (definitivo) dei vitalizi dei consiglieri regionali, ma dalle 1.600 plafoniere da 637 euro l’una si era capito che non sarebbe stata aria nemmeno stavolta. Si fa fatica a lasciare gli hotel in cui si sta comodi. I come internazionale.
Poche cose lo sono (in Puglia) quanto l’aeroporto Karol Wojtyla di Bari, lo scalo che ha sdoganato l’antropologia di una regione proiettandola oltre il suo provincialismo, oltre la sua dimensione, con numeri anche nel 2019 da record. La nostra connessione al resto del mondo la dobbiamo a questo scalo (e ai molti soldi versati alle compagnie low cost, su cui il Corriere si è ampiamente espresso). L come Lega. Impressiona come questo partito abbia fatto breccia nei cuori del Mezzogiorno, tra la gente alla quale si è sempre rivolto precedendo ogni interlocuzione con gli appellativi «terroni, ladri, parassiti». Impressiona perché restituisce cosa non si farebbe per una poltrona. M come la fuoriclasse
Matera, chi altri sennò. L’anno che sta per chiudersi potrebbe essere il pri
mo capitolo di un romanzo tutto da scrivere, con un finale aperto e una successione incredibile di colpi di scena. Se non fosse che tutti hanno paura del giorno dopo, di quello che succederà dall’1 gennaio 2020. N come New York Times, che ha inserito la Puglia tra i 52 posti del mondo da visitare. Lusinghe che non cambiano nulla ma fanno densità, come si dice in questi casi, nonostante le difficoltà logistiche e strutturali dei due grandi bacini di accoglienza: Gargano e Salento. O come Otranto. Con le sue piazze deserte, il vuoto inatteso ma molto rumoroso della scorsa estate (condiviso con Gallipoli). A noi piace ricordarla nell’omonimo romanzo di Roberto Cotroneo (1997, Mondadori) che dentro la strage dei saraceni racconta anche di una città magica, che forse non dovrebbe rivolgersi al turismo di massa ma (ri)trovare la sua vera vocazione. P come Potito, il bambino di Stornarella che ha manifestato per i cambiamenti climatici. Proprio come Greta Thunberg aveva suggerito di fare ai suoi coetanei, che però hanno preferito abbreviare le tappe della crescita e fare come i grandi. Voltarsi dall’altra parte. Potito no, ha impugnato un cartello e la sua indignazione ed ha manifestato. Da solo. Q come quartiere Tamburi. Normalmente sarebbe solo un rione, un dedalo di isolati ed edifici. Invece qui si muore, donne, uomini, anziani e bambini. A causa di un killer che in cambio, però, offre da mangiare a ventimila persone. Le polveri del Tamburi saranno pure sottili, per fortuna ora iniziano a coprirle. R come Raffaele Fitto. Sarà lui a sfidare il centrosinistra per tornare alla guida della Regione? Da governatore sposò la causa giusta del riordino ospedaliero ma lo fece nel peggiore dei modi: con arroganza. La speranza è che abbia imparato la lezione, non indicare la strada – a chi te l’ha spalancata – equivale a tagliarsela da soli. S come Santa Scorese, la storia della giovane attivista cattolica che il regista barese Alessandro Piva ha messo al centro di Santa Subito (pellicola premiata all’ultimo Festival del Cinema di Roma). A noi piace ricordarla tralasciando – per una volta – il suo martirio, ma mettendo in evidenza la forza della sua gente, che ne ha raccolto la testimonianza e ne ha fatto una rinascita. T come Tataranni, Imma all’anagrafe di Rai Uno. Mariolina Venezia – dai romanzi della quale la fiction che ha incantato il Paese – si è inventata un personaggio memorabile facendo leva sui nostri difetti. Forse la sbornia materana risulta un po’ eccessiva, ma questa Imma (la bravissima Vanessa Scalera) unisce l’Italia sotto la bandiera più nostra tra tutte le disponibili. Quella dei limiti che diventano pregi. U come ulivi, quelli del Salento decapitati da una peste di cui non si viene a capo. Ulivi secolari, ulivi che simboleggiavano la saggezza, l’attesa ma anche la ricompensa del raccolto. Assistere – come abbiamo assistito – quasi inermi al loro abbattimento, dice tutto su quanta distanza abbiamo messo tra noi e la natura, tra noi e le cose (davvero) importanti. V come Vincenzo Di Gennaro, il maresciallo dei carabinieri ucciso a Cagnano Varano (13 aprile) da un pregiudicato fermato per un controllo. Aveva comprato casa da poco, con l’intenzione di sposare la compagna. Aveva 46 anni e ai suoi funerali c’era l’intera Arma, a commemorare un uomo «buono e paziente». E c’era anche chi promettendo la pena di morte al suo assassino, non s’è accorto che forse servirebbe più attenzione per i vivi. Z come Zalone. Un terzo del fatturato Mediaset, come ama definirsi lui stesso. In un Paese così immiserito da equivocare pure la satira, il suo Tolo Tolo (statene certi) riempirà da stanotte le sale riaprendo per l’ennesima volta il dibattito su cosa sia meglio, l’impegno o l’ironia. Interrogativo che Zalone ha risolto da tempo ricorrendo allo straordinario pragmatismo dei Baresi: «Peggio dell’ignorantità, c’è solol’ intellettuali tu dine ».