Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Delitto Sciannimanico, le motivazioni della condanna all’ergastolo inflitta a Perilli
«Ha pervicacemente ed incredibilmente sostenuto di non aver mai concepito di eliminare fisicamente e definitivamente il proprio rivale in affari. Ma ciò che ha creato più sconcerto è come Perilli non abbia mai rappresentato alcun pentimento o ravvedimento per quanto accaduto e, soprattutto, non abbia mai inteso spendere una sola parola di compassione nei confronti dei parenti e della fidanzata di Giuseppe Sciannimanico e di mera partecipazione allo straziante dolore da costoro provato a causa comunque della propria azione».
È uno stralcio delle motivazioni della sentenza con la quale a novembre scorso, i giudici della Corte di Assise di Appello di Bari hanno confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Roberto Perilli, l’agente immobiliare barese ritenuto il mandante dell’omicidio del collega Giuseppe Sciannimanico, assassinato la sera del 26 ottobre 2015 al rione Japigia di Bari. Perilli, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe commissionato l’omicidio al pregiudicato Luigi Di Gioia, già condannato in abbreviato a 30 anni di reclusione. Il movente sarebbe legato alla rivalità negli affari: la vittima avrebbe dovuto aprire una agenzia immobiliare nella stessa zona in cui lavorava Perilli.
«La condotta posta in essere, consumata con l’esplosione di due colpi di arma da fuoco diretti entrambi in parti vitali del corpo della vittima costituisce evidente espressione di una inequivoca volontà omicidiaria e sintomatica di una puntuale esecuzione di un preciso incarico in tal senso conferitoscrivono ancora i giudici - la trappola organizzata si concilia con la inequivoca manifestazione della volontà di aggredire l’incolumità della persona della vittima. Il tipo di ferite prodotte evidenziano poi il carattere estremo dell’intento e, quindi, non si può dubitare che proprio l’uccisione fosse il mandato consegnato al Perilli dal sicario». Ed ancora sul fatto che Perilli non abbia mai mostrato segni di pentimento i giudici scrivono che «non ha inteso chiedere perdono, né avanzare semplici scuse; non ha ritenuto di adoperarsi in alcun modo per cercare di risarcire o di ristorare in qualsivoglia misura il pregiudizio cagionato». Ed ancora viene evidenziato come «le modalità dell’azione, valutata nel suo complesso, si rivelano raccapriccianti; di eccezionale pervicacia e di rara ed intensissima intensità è il dolo che ha sorretto la condotta. Ciò non può che attribuire un grado particolarmente elevato alla capacità a delinquere del colpevole, determinatosi ad agire per uno spregevole movente nelle fasi di ideazione, della preparazione e della esecuzione del reato. Il censurabile comportamento di Perilli- concludono i giudici- ha trovato un’inquietante conferma ed un allarmante continuità davanti alla Corte di Assise di Appello: qui pur avendo la possibilità di manifestare un benché minimo segno di resipiscenza si è ostinato a rappresentare una versione degli accadimenti contrastante».