Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Laureati, precari e sottopagati»
I posti offerti non allineati col titolo di studio. E un lavoratore su quattro è a termine
Ilavoratori pugliesi sono sottopagati, con un titolo di studio superiore rispetto alle mansioni che sono chiamati a svolgere e, soprattutto, precari. È il quadro tutt’altro che rassicurante che viene fuori dal rapporto regionale sul lavoro nel 2019 elaborato dalla Cgil. Un lavoratore su quattro ha un contratto a termine e ogni mille laureati sono 24 quelli che decidono di lasciare la Puglia.
«Ciò che avevamo sempre denunciato ora trova il riscontro nei numeri. In Puglia, sebbene l’indice complessivo dell’occupazione sia in crescita, c’è un dramma: i nuovi posti di lavoro sono precari, poco retribuiti e disallineati con le competenze professionali acquisite. C’è bisogno di cantieri». È quanto afferma Giuseppe Gesmundo, segretario generale della Cgil Puglia, in riferimento all’analisi del Bes 2019 dell’Istat (elaborata in chiave regionale da Elisa Mariano e Giuseppe Lollo per la Fondazione Rita Maierotti). Nella Puglia “dei miracoli”, purtroppo, la realtà è differente da come viene descritta. L’euforia con cui la politica regionale (a partire dal governatore Michele Emiliano) commenta il più 1,3% degli occupati si scontra con un lavoro povero, senza qualità e chiuso donne. La rilevazione, infatti, è abbastanza netta: il tasso di occupazione femminile si ferma al 35,6%. E gli indicatori che misurano la conciliazione tra vita e lavoro mostrano una difficoltà da parte delle donne con figli piccoli a entrare nel mondo del lavoro. E ancora: i dipendenti con paghe basse - si intende con una retribuzione oraria inferiore a due terzi di quella media - sono quasi 1 su 5 (18,3%) e quelli con lavori a termine da almeno cinque anni 1 su 4 (24,6%). Si tratta di paramenti che spingono il sistema verso standard peggiorativi.
Ma non è tutto. Ampliando il raggio d’azione alla specializzazione si scopre che c’è un’ampia fetta di occupati che svolge un lavoro meno professionalizzato. «Un elemento legato alla scarsa innovazione che caratterizza il sistema produttivo (la spesa per ricerca è lo 0,8% del Pil, la propensione alla brevettazione del 12,3 contro una media Italia del 75,8) - è scritto nell’analisi - determina anche un numero alto di occupati sovraistruiti pari al 24,1% (erano il 17,8% nel 2010). Si tratta di chi ha un titolo di studio superiore a quello posseduto per svolgere la stessa professione. A dimostrazione della bassa qualità di domanda di lavoro che arriva dalle imprese e che spinge anche tanti giovani laureati ad emigrare: ogni mille laureati
Giuseppe Gesmundo Ciò che avevamo denunciato trova riscontro
23,9 lasciano la Puglia». «È una base dati utile per conoscere come cambia la struttura occupazionale in termini qualitativi - prosegue Gesmundo - e su quella base misurare le nostre proposte e avanzarle agli attori istituzionali e politici. I numeri confermano quello che il nostro sindacato denuncia da tempo, avendo una presenza capillare nei luoghi di lavoro e nei territori. Che cresce il lavoro povero e precario, soprattutto a tempo determinato e part-time, quindi con bassi salari. Non è che questo che serve al Sud e alla Puglia per rilanciare i consumi interni, frenare l’emorragia demografica, rafforzare il sistema economico».
La verità è che a livello governativo gli sforzi prodotti negli ultimi anni non hanno portato risultati concreti. I grandi cantieri sono bloccati e il peso delle burocrazia continua a rallentare gli investialle menti. Stesso discorso per le politiche regionali sul lavoro. Nei cinque anni del governo Emiliano si è parlato tanto di welfare (con il Red), ma poco di progetti di sviluppo. «Nei tavoli del parternariato economico-sociale con la Regione - chiarisce il leader regionale della Cgil - abbiamo concordato misure d’indirizzo. Ma alla fine la progettualità si è scontrata con la burocrazia e con la lentezza delle stazioni appaltanti. C’è un tema: per crescere servono ingenti investimenti pubblici. Purtroppo, è stato speso solo il 27% delle risorse comunitarie (oltre 5 miliardi sono fermi). Il Patto per la Puglia è al 5% e il disastro del Psr impone una verifica urgente. La Cgil c’è sempre stata con le sue proposte, vorremmo la stessa preoccupazione e attenzione a questi dati anche da parte degli altri attori sociali e della politica».
L’ultimo passaggio di una situazione economica complicata è la gestione delle crisi. «Lo spaccato che emerge dai dati analizzati, incrociati con le crisi produttive aperte conclude Gesmundo - è preoccupante. I casi Ilva, Bosch, Banca Popolare di Bari, solo per citare le ultime e più importanti vertenze, si sommano alla riduzione degli investimenti da parte delle grandi imprese nazionali a gestione pubblica. Penso a Eni, Fincantieri, Enel, Fs e Anas».