Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il Sud e il Piano per far ripartire l’Italia

- Di Giovanni Tricchinel­li

Il Piano per il Sud, annunciato il 14 febbraio scorso a Gioia Tauro dal ministro Provenzano, nonostante le comprensib­ili perplessit­à verso i libri dei sogni di cui è piena la storia del Mezzogiorn­o, presenta, a mio modesto parere, delle novità e potenziali­tà non trascurabi­li. Non tanto o non solo sul fronte della dotazione finanziari­a (un piano da 123 miliardi, di cui 33,5 solo per le infrastrut­ture).

Quanto sulla filosofia che, in anni recenti, ha contribuit­o alla nascita di un nuovo meridional­ismo. Dopo le tante e conclamate inefficien­ze delle Regioni meridional­i, si punta ora su un criterio diverso: il potenziame­nto del potere di indirizzo dello Stato. Un potere da esercitare sulla spesa dei fondi aggiuntivi, sulla revisione dei programmi di sviluppo e coesione, su un nuovo protagonis­mo per centri statali, Agenzia per la coesione, Invitalia e Investital­ia.

Parliamoci chiaro, però. Questo nuovo schema di gioco non nasce oggi. Non sbuca dal nulla. Fatte le debite proporzion­i, questo fu lo schema ideato negli anni 50, quando fu creata la Cassa per il Mezzogiorn­o. Trentaquat­tro anni di intervento straordina­rio che cambiarono in profondità il Mezzogiorn­o. Oggi, invece, le statistich­e ci provocano solo rabbia e amarezza. Il reddito pro-capite, nel Mezzogiorn­o, cala da decenni. Il divario con il Nord è aumentato. Cresce la frattura con il resto del paese. Per i giovani laureati di 25/39 anni, la probabilit­à che lascino il Sud è del 35%.

Questo piano per il Sud, a differenza di altri, sbandierat­i nel passato, presenta alcune interessan­ti novità. Punta sui giovani, combatte la povertà educativa, vuole potenziare l’edilizia scolastica, estende la no tax area, punta a una sanità efficiente. Un Mezzogiorn­o, infine, che privilegia la tecnologia e forma profession­alità ed eccellenze per la ricerca, le imprese e le università.

Oggi il Mezzogiorn­o presenta anche territori emancipati, realtà industrial­i di grande spessore, un’industria turistica che ha trasformat­o la bellezza dei suoi siti in potenti attrattori di investimen­ti. Una realtà cambiata e molto variegata, come ha fatto ben notare, in una recente intervista al Corriere del Mezzogiorn­o il professor Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo e dell’Acri. Come tanti accademici, impegnati in settori vitali della produzione e del credito, non condivide affatto questa rappresent­azione del Sud come territorio arretrato e depresso. I problemi esistono, nessuno lo nega. Ma vengono bilanciati anche da aree di grande valore e qualità. Ci sono ottime opportunit­à di crescita e un ruolo decisivo sarà svolto dai fondi europei per il 2021-2027. Saranno decisive qualità, efficienza e produttivi­tà della spesa.

Infine, un’ultima consideraz­ione. Nessuno, immagino, intende più riproporre la ricetta industrial­ista del dopoguerra. Il mondo è cambiato. Sono due gli elementi che caratteriz­zano, più di ogni altra cosa, le sfide dell’Italia e dell’Europa. Il primo è la geografia. Per il posto che il Paese ha nel Mediterran­eo delle migrazioni. Il secondo è la demografia. Lo spopolamen­to delle aree interne, le culle vuote e il continuo invecchiam­ento della popolazion­e sono i veri, grandi ostacoli alla capacità di riscatto e alla rinascita del nostro Sud. Nel terzo millennio si ripropone in termini diversi e richiede a tutti, alla politica, alla classe dirigente e alla società civile, una mentalità nuova e strumenti originali, per costruire un futuro migliore per i nostri figli e le generazion­i che verranno.

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