Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
ArcelorMittal, in 662 tornano a lavorare Ma i sindacati: poca trasparenza
Fiom lamenta l’assenza di informazioni
TARANTO Gli ordinativi regolano l’assetto produttivo dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto. A inizio settimana è ripartito, per un mese, il reparto Produzione Lamiere per lavorare 30 mila tonnellate, con il rientro in fabbrica di 380 lavoratori più un centinaio della manutenzione, fino a quel momento in cassa integrazione. Dal 10 marzo riprenderà la marcia il Treno nastri 1, fermo dal giugno scorso, e tornano al lavoro 182 dipendenti per due settimane su quindici turni. In totale si tratta di 662 persone che, almeno temporaneamente, si sganciano dalla cassa integrazione. L’altro giorno i dirigenti della multinazionale hanno informato i sindacati del riavvio del Treno nastri che, dopo le due settimane di produzione, si fermerà nuovamente in attesa di commesse. Lo standard di produzione dello stabilimento è tuttora condizionato dall’approvvigionamento delle materie prime, impossibile sullo sporgente 4, e dagli ordini dei committenti. È per questa ragione che Fiom-Cgil ha affermato che l’azienda «continua ad essere poco trasparente e a non fornire elementi utili alle organizzazioni sindacali per avere un quadro chiaro rispetto agli assetti produttivi».
I 182 lavoratori del Tna1 saranno distribuiti nei diversi settori: 75 all’esercizio, 46 in torneria cilindri, 29 alla manutenzione meccanica e 32 alla manutenzione elettrica. Lo stabilimento tarantino, che marcia su una base media di 13 mila tonnellate di acciaio al giorno, ha registrato anche alcuni picchi. Il 15 febbraio scorso sono state fatte 52 colate, non accadeva da un paio di anni, per una produzione di 15.300 tonnellate mentre due giorni fa il Treno Nastri 2 ha sfornato 15.261 tonnellate di coils superando il limite toccato alcuni giorni prima di 15.921 tonnellate. La multinazionale e i lavoratori sanno che la redditività è scarsa se resta il livello di 4.5 milioni di tonnellate l’anno, standard che bisogna necessariamente aumentare. Il cambio di management, avvenuto un mese fa con la sostituzione della prima linea straniera con un gruppo di manager italiani e tarantini conoscitori degli impianti e dell’ambiente locale, non è estraneo all’apparente nuova energia che pervade lo stabilimento. «Ora c’è gente che conosciamo da anni e che conosce gli impianti — commenta Giuseppe Romano, segretario della Fiom-Cgil, — ora c’è un rapporto con le organizzazioni sindacali. Era anomalo l’andamento di prima anche se la produzione va ancora aumentata». Secondo Fabio Boccuni, Francesco Brigati e Giuseppe D’Ambrosio, delle rsu Fiom, «l’assenza di trasparenza rispetto agli attuali e futuri assetti produttivi non dà certezze in riferimento alle reali intenzioni della multinazionale, soprattutto in una fase in cui è ancora in piedi il contenzioso giudiziario tra Arcelor Mittal e Ilva in amministrazione straordinaria». A questo proposito Rocco Palombella, segretario generale Uilm, sottolinea che «l’accordo che si sta realizzando stravolge quello del 6 settembre 2018 che ha avuto il consenso del 93 per cento dei lavoratori. L’intesa prevederebbe l’allungamento di due anni dei tempi per il ritorno a lavoro dei 1.800 lavoratori in amministrazione straordinaria, il ridimensionamento degli interventi del risanamento ambientale, nuovi assetti societari nel lungo periodo, modifiche al contratto di affitto e tanti altri punti rilevanti. Quindi — conclude — si sta portando avanti un accordo capestro di separazione tra ArcelorMittal e gli stabilimenti dell’ex Ilva, dietro il pagamento di una quota irrisoria. Non tolleriamo e siamo nettamente contrari sia al merito che al metodo inaudito che si stanno consumando alle spalle e sulla pelle di migliaia di lavoratori, provocando ulteriori difficoltà e disperazione per le centinaia di famiglie coinvolte».