Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

La nuova generazion­e black rende omaggio alla voce di Gil Scott-Heron

- di Fabrizio Versienti

Gil Scott-Heron (Chicago 1949 - New York 2011) è stato uno dei grandi personaggi della black music americana del secondo Novecento. Voce scura e profonda, autore di canzoni soul con radici jazz e gospel, ebbe un momento di grande successo negli anni Settanta per poi progressiv­amente scivolare nella nicchia destinata ai grandi incompresi, o dimenticat­i. Ma oltre che musicista, ScottHeron fu soprattutt­o poeta (The Revolution will Not Be Televised e Winter in America), precursore del rap con le lunghe introduzio­ni parlate dei suoi pezzi (Inner City Blues), intellettu­ale impegnato contro la discrimina­zione, e infine personalit­à tormentata alle prese con demoni interiori e fragilità ricorrenti (alcolismo, dipendenza dalle droghe, carcere). L’album I’m New Here, giusto dieci anni fa, ci consegnò le sue ultime storie di paura, dolore e amore familiare, dominate da un senso di fine incombente; oggi quel disco, già oggetto di un integrale omaggio-remix l’anno successivo alla sua uscita, torna nei negozi musicalmen­te «riscritto» dal 37enne batterista e produttore Makaya McCraven. La nuova versione esce sempre a nome di Gil ScottHeron e s’intitola We’re New Again - a Reimaginin­g by Makaya McCraven, l’etichetta è la stessa del disco originale, la XL. Anche qui la voce e le parole di Gil Scott-Heron risuonano in tutta la loro potenza, come nella drammatica The Crutch, vestite da un abito musicalmen­te raffinato e allo stesso tempo discreto, al punto che le songs come New York Is Killing Me o il magnifico blues Me and the Devil, ripreso da Robert Johnson (1937), ne risultano trasfigura­te. Un atto di fede, un passaggio di testimone generazion­ale.

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Sopra, Gil Scott-Heron al tempo di I’m New Here
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