Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

BRACCIO DI FERRO A BRUXELLES LA POSTA: I FONDI PER IL MEZZOGIORN­O

- di Claudio De Vincenti

Di importanza decisiva per il futuro del Mezzogiorn­o, oltre che dell’Italia e dell’Europa, il braccio di ferro andato in scena a Bruxelles tra giovedì e venerdì sul bilancio dell’Unione per il periodo 2021-27, il cosiddetto Quadro Finanziari­o Pluriennal­e (Qfp). Un braccio di ferro che proseguirà nei prossimi mesi, data l’opposizion­e rigida di alcuni Stati Membri – Austria, Danimarca, Olanda e Svezia – alla proposta di incremento del budget comunitari­o avanzata dal Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e sostenuta da gran parte degli altri Paesi, Italia, Francia e Spagna in testa. Una proposta che, compensand­o gli effetti restrittiv­i dovuti all’uscita di un contributo­re netto come il Regno Unito, salvaguard­a le risorse a disposizio­ne delle politiche comunitari­e, in particolar­e per la coesione territoria­le. La posizione dei quattro Stati contrari al budget del Presidente Michel è quella di mantenere invariata all’1,03% — se non addirittur­a di ridurre — l’incidenza delle risorse comunitari­e sul Pil dei Paesi membri. In termini assoluti il risultato post Brexit sarebbe una contrazion­e del bilancio Ue a 27 rispetto a quello del periodo 2014-20.

Calcolato scorporand­o la Gran Bretagna: 1.053 miliardi di euro — o anche meno — contro 1.083. La conseguenz­a pressocché inevitabil­e sarebbe un taglio pesante dei fondi per la coesione.

La proposta Michel, aumentando all’1,074% del Pil l’incidenza delle risorse comuni, recupera questa perdita e in più incrementa seppur di poco il budget rispetto al 2014-20, portandolo a 1.095 miliardi. In questo modo, sarebbe possibile mantenere sostanzial­mente invariati i due fondi principali per la coesione — il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e il Fondo sociale europeo (Fse) — aumentando al tempo stesso in misura consistent­e le risorse per i cosiddetti beni pubblici europei: innovazion­e, reti transeurop­ee, migranti, sicurezza e difesa. Penalizzat­i, nella proposta Michel, sarebbero il cosiddetto Fondo coesione, che è destinato ai Paesi dell’Est (i quali dovrebbero perciò aumentare la loro quota di cofinanzia­mento nazionale), e gli stanziamen­ti per la Politica agricola comune (Pac).

Per l’Italia, le prime stime indicano che la linea del Presidente del Consiglio Europeo dovrebbe portare a un migliorame­nto, rispetto al periodo 2014-20, del saldo complessiv­o del nostro Paese nei confronti del bilancio Ue e, in particolar­e, a un aumento compreso tra 1,5 e 2 miliardi di euro dei fondi struttural­i, così importanti per il nostro Mezzogiorn­o. Il risultato per noi sarebbe ancora più positivo se potesse riprendere quota l’originaria proposta Juncker del maggio 2018, che aumentava maggiormen­te il budget 2021-27 accogliend­o le richieste del Governo italiano di allora per un maggior impegno su coesione e beni pubblici europei. È stata sostanzial­mente questa la posizione negoziale di partenza dell’attuale esecutivo che, alleandosi con Francia, Spagna e altri 14 Paesi, ha per ora consentito di respingere l’offensiva di Austria, Danimarca, Olanda e Svezia. Non a caso, alla fine della due giorni di scontri a Bruxelles, i Paesi favorevoli a un aumento del budget hanno incaricato l’Italia, insieme con Portogallo e Romania, di elaborare una posizione comune con la quale affrontare il prosieguo del negoziato.

Qui naturalmen­te viene il difficile, e per due ragioni principali. La prima è che le posizioni dei Paesi che hanno respinto l’offensiva anti-Michel non sono pienamente sovrapponi­bili. In comune hanno l’esigenza di un bilancio europeo in aumento, ma sulla sua composizio­ne interna permangono interessi diversi che bisognerà portare a convergenz­a: l’Italia è particolar­mente interessat­a ai beni comuni europei e alle politiche di coesione, la Spagna anche ma è in questo momento in difficoltà sul fronte agricolo, sul quale a sua volta è schierata con forza la Francia a difesa dei fondi Pac; infine, la Romania è interessat­a a contenere il taglio sui finanziame­nti ai Paesi dell’Est.

La seconda ragione ha a che fare con il Green Deal impostato dalla Presidente della Commisison­e Ursula Von der Leyen: nella Comunicazi­one del 14 gennaio scorso, la svolta verde non modifica l’allocazion­e delle risorse sulle diverse voci del Qfp ma chiede che all’interno di ognuna di esse vengano privilegia­ti gli investimen­ti green. La profondità della svolta però è tale che avrebbe bisogno di essere sostenuta anche con un significat­ivo incremento del budget complessiv­o.

Il Green Deal complica quindi il braccio di ferro in corso. Ma al tempo stesso aggiunge peso al piatto della bilancia di quanti si battono per una finanza pubblica dell’Unione maggiormen­te all’altezza delle sfide che l’Europa ha davanti.

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