Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Il Salone, i libri e le mie passioni»

«Sarebbe bello se riuscisse, finalmente, a diventare un’autentica eccezione nazionale»

- di Davide Grittani

«Mi piacerebbe che la Puglia diventasse un’eccezione nazionale, un’eccellenza vera». Nicola Lagioia, scrittore, direttore del Salone del libro, parla a cuore aperto dell’edizione 2020 della manifestaz­ione torinese incentrata sulla biodiversi­tà.

Il Salone del libro di Torino ai tempi del Covid 19. «Chi l’avrebbe mai detto – sussurra Nicola Lagioia, lo scrittore barese che, con impareggia­bili passione e competenza, da quattro anni dirige l’evento editoriale più importante del Paese –. Nemmeno Camus ne La peste, ma quali Cronenberg (quest’anno proprio Canada e Irlanda sono i Paesi ospite, Nda) o Burroughs. Sembra un racconto distopico, pazzesco…». Invece è un’incognita di cui tener conto, sebbene almeno per adesso il SalTo 2020 (14 - 18 maggio) non figuri tra gli eventi messi in discussion­e dal contagio più inatteso della storia dell’umanità.

Che salone sarà, Nicola?

«Quando l’abbiamo pensato si stavano sciogliend­o i ghiacciai e andava a fuoco l’Australia. Inevitabil­e che ne venisse fuori un salone attento all’ambiente, alla protezione della biodiversi­tà. Che poi, per noi che ci occupiamo di questo, vuol dire “bibliodive­rsità”. Cercheremo di interrogar­e i nostri ospiti su questo tema, invitandol­i a esprimersi su un’emergenza che sembrava lontana anni luce e invece fa parte del nostro tempo. Anzi, del nostro destino».

A che punto ti sembra l’eterno dilemma sulla qualità dell’editoria italiana?

«Personalme­nte credo sia un dilemma un po’ sopravvalu­tato. L’Italia è un Paese che offre molta più scelta rispetto ad altri. Il 3% delle pubblicazi­oni degli Stati Uniti viene tradotto all’estero, in Italia il 20% delle pubblicazi­oni prodotte: vuol dire che la proposta della nostra editoria è meglio di come la giudichiam­o. Io non farei delle crociate a difesa della presunta qualità, non fosse altro per lasciare a chiunque la libertà di scegliere cosa leggere. L’argomento su cui avrebbe senso spendere del tempo, sono librerie e dati di lettura. L’Italia è drammatica­mente ultima in queste graduatori­e, anche se è provato che la proposta di nuove offerte (cioè la nascita di altre librerie, Nda) genera immediatam­ente nuovi lettori. Bisogni impegnarsi, investire su questo. Non solo sulla qualità dei libri che troviamo in libreria, perché insieme a quelli pop oppure scadenti si trovano anche capolavori della letteratur­a. È un equilibrio quasi necessario».

La piccola editoria fa molto, ma spesso le si chiede un sacrificio disumano.

«La pubblicazi­one di Infinite Jest di David Foster Wallace la si deve a un editore barese, cioè Domenico Procacci, che decise di far tradurre un romanzo di 1400 pagine e portarlo in Italia. In buona sostanza Procacci decise di perderci molti soldi, perché questo significav­a, allora, quell’investimen­to. Poi venne Minimum Fax che tradusse Dfw per intero per volontà di Marco Cassini, altro grande atto di coraggio. Ma lo stesso mi viene da dire per E/o: quando sono stato negli Stati Uniti l’autrice più esposta nelle librerie era Elena Ferrante, non Philip Roth. Intendo dire che forse l’editoria italiana sta meglio di quello che si crede, proprio per la capacità di restare curiosa e molto attenta ai fenomeni sociali intorno ad essa. Usciamo da questo equivoco, è uno degli obiettivi del Salone: formare lettori più consapevol­i, accompagna­re scrittori a una maturità migliore. In Italia ci si lamenta molto perché non si conoscono le condizioni degli altri Paesi, alcune davvero drammatich­e».

Cioè, l’editoria non modella più la colonna vertebrale di un Paese?

«Ma no, l’incidenza dell’editoria sul pensiero di un Paese come l’Italia è nulla. Ognuno di noi addetti ai lavori vive in una sua bolla, un microcosmo in cui entra solo ciò che fa piacere. Il tenore morale e intellettu­ale di un Paese lo fanno gli altri media di cui disponiamo, in particolar modo i social. Basta aprirne uno per capire il grado di aggressivi­tà della nazione, basta analizzare una qualsiasi conversazi­one per comprender­e il rancore che si è impossessa­to degli italiani. I libri non c’entrano, possono fare tanto e poco. È in atto una flessione della nostra tenuta civile, non addossiamo ai libri responsabi­lità che non hanno».

Breve focus sulla Puglia. Come la vedi, come la senti? Che romanzo è, oggi?

«Quando ho lasciato Bari per trasferirm­i a Roma, c’erano zone della città in cui non si poteva entrare. Oggi la città si è consegnata a una mentalità diversa, aperta. Più o meno lo stesso è avvenuto in Puglia. C’erano posti della nostra regione di cui non si conosceva l’esistenza, oggi rappresent­ano una eccezione alla condizione sociale del Sud. Ecco, quello che mi piacerebbe è che la Puglia diventasse un’eccezione nazionale, un’eccellenza vera. Abbiamo assistito con grande interesse alla primavera che l’attraversa da circa quindici anni, adesso è tempo che quella primavera diventi estate, che assuma consapevol­ezza dei propri mezzi e si trasformi in un’emancipazi­one definitiva».

Cosa senti che manca, per arrivare a questa fase?

«È una regione in cui una persona su due non ha lavoro. Una regione in cui l’analfabeti­smo è ancora una condizione, non un’eccezione. Insomma, ci sarebbe da lavorare anche se non credo che la politica possa cambiare radicalmen­te queste cose. Credo piuttosto che nella testa delle persone risieda quella rivoluzion­e sociale e culturale che ancora manca».

E Taranto?

«Non so perché Taranto non sia diventato un caso nazionale, un tema del dibattito socio-culturale del Paese. Non si tratta di una città che reclama attenzione per una propria vertenza, si tratta di un modo di concepire l’industria (negli anni Sessanta,

Nda) che adesso presenta il conto solo agli operai. Mi sarebbe piaciuto che il Paese se ne fosse fatto davvero carico».

❞ Quello che sta accadendo in questi giorni sembra un racconto distopico, pazzesco...

❞ Il tema del Salone 2020 sarà la biodiversi­tà, che per noi vuol dire anche «bibliodive­rsità»

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 ??  ?? Sopra, un ritratto di Nicola Lagioia e iI Salone del libro dell’anno scorso, intitolato a «Il gioco del mondo»
Sopra, un ritratto di Nicola Lagioia e iI Salone del libro dell’anno scorso, intitolato a «Il gioco del mondo»

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