Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
IL GOLPE DEI TIPI DA TRINCEA
Proprio nei giorni in cui cominciano a calare i contagi, l’Italia si scopre più malata che mai. Ma non di Covid-19. Di protagonismo. Di narcisismo. Di insopprimibile ansia di dire «io farei meglio». Della smania di stare sempre al centro e mai di lato: «È così egocentrico - scriveva Leo Longanesi - che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa; a un funerale il morto».
Non c’è pandemia che tenga. Anche di fronte alla crisi peggiore dal dopoguerra, non si concede a chi deve prendere le decisioni il conforto di una qualsiasi solidarietà, di un qualsiasi rispetto. La politica e le formazioni sociali dovrebbero farlo nel nome dell’antico motto «giusto o sbagliato, è il mio Paese», ricordando magari che persino Winston Churchill non vinse la guerra il primo giorno. Invece fioccano contro il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, attacchi e minacce, con toni che vanno dall’indignato all’intimidatorio. Opposizioni politiche, Confindustria e associazioni di categoria, sindacati, ognuno in questi momenti ha la sua bandiera da sventolare. Come se il destino non ci accomunasse, come se il punto di caduta di ogni scelta non potesse che essere una mediazione fra esigenze opposte: un Paese che deve salvarsi, ma per salvarsi deve adottare misure veloci e pesantemente restrittive, dove si producono solo i beni essenziali per superare il momento più acuto della crisi.
Bisogna decidere, e presto. Ma da più parti si trova il tempo di elevare acuti strilli sul fatto che Conte abbia annunciato l’ultima stretta in diretta Facebook, come se contemporaneamente non fosse andato nei tg a reti unificate. E poi che l’ha fatto troppo presto, senza il decreto in mano, mentre se l’avesse fatto dopo averne trattato i dettagli sarebbe stato certamente accusato di averlo fatto troppo tardi. Ma su tutti, spicca l’allarme per la «democrazia in pericolo». Ai tempi felici eravamo tutti allenatori della nazionale. E ci stava: alla peggio, si rischiava un mondiale. Ma da quando siamo diventati sismologi, esperti di spread e oggi addirittura epidemiologi, riemerge la mitica «deriva autoritaria» in arrivo. Così, mentre una parte degli intellettuali militanti accusa il governo di aver minimizzato troppo a lungo, con tanto di improperi contro Zingaretti che brinda a Milano, un’altra lo accusa di fare tutto troppo in fretta, senza consultare il Parlamento e senza averne i poteri, perché le libertà fondamentali e bla bla bla. A nessuno che passi per la mente che la democrazia rischia se non sa proteggere la popolazione: se per questo fine usa misure eccezionali e delimitate nel tempo, si rafforza.
Come sempre quando impera la demagogia, il mondo reale va da tutt’altra parte. Non solo chi sta in trincea, i giustamente celebrati infermieri e medici, farmacisti, commessi e trasportatori. Ma anche, fra i politici, i governatori regionali. Da Fontana e Zaia, scendendo lo Stivale arriviamo a De Luca, Santelli, Musumeci, Emiliano, Bardi. La prima linea delle istituzioni, non per caso, reclama e adotta misure drastiche, al limite dei suoi poteri. Chiusure di uffici, quarantene forzate, blocchi dei confini regionali.
Tutti golpisti, evidentemente. Così come il professor Pierluigi Lopalco, epidemiologo di fama mondiale chiamato da Emiliano a guidare la task force pugliese contro il coronavirus: «Le misure restrittive dureranno almeno fino all’estate. Parliamoci chiaro, questa è la Spagnola del 2020, l’influenza che tra il 1918 e il 1920 fece 500 milioni di ammalati e 50-100 milioni di morti. Andrebbe così anche oggi se non avessimo le terapie intensive e se non avessimo preso misure drastiche per limitare il contagio». Ma che ne sa lui di quali rischi corriamo con la diretta Facebook?