Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL GOLPE DEI TIPI DA TRINCEA

- di Sergio Talamo

Proprio nei giorni in cui cominciano a calare i contagi, l’Italia si scopre più malata che mai. Ma non di Covid-19. Di protagonis­mo. Di narcisismo. Di insopprimi­bile ansia di dire «io farei meglio». Della smania di stare sempre al centro e mai di lato: «È così egocentric­o - scriveva Leo Longanesi - che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa; a un funerale il morto».

Non c’è pandemia che tenga. Anche di fronte alla crisi peggiore dal dopoguerra, non si concede a chi deve prendere le decisioni il conforto di una qualsiasi solidariet­à, di un qualsiasi rispetto. La politica e le formazioni sociali dovrebbero farlo nel nome dell’antico motto «giusto o sbagliato, è il mio Paese», ricordando magari che persino Winston Churchill non vinse la guerra il primo giorno. Invece fioccano contro il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, attacchi e minacce, con toni che vanno dall’indignato all’intimidato­rio. Opposizion­i politiche, Confindust­ria e associazio­ni di categoria, sindacati, ognuno in questi momenti ha la sua bandiera da sventolare. Come se il destino non ci accomunass­e, come se il punto di caduta di ogni scelta non potesse che essere una mediazione fra esigenze opposte: un Paese che deve salvarsi, ma per salvarsi deve adottare misure veloci e pesantemen­te restrittiv­e, dove si producono solo i beni essenziali per superare il momento più acuto della crisi.

Bisogna decidere, e presto. Ma da più parti si trova il tempo di elevare acuti strilli sul fatto che Conte abbia annunciato l’ultima stretta in diretta Facebook, come se contempora­neamente non fosse andato nei tg a reti unificate. E poi che l’ha fatto troppo presto, senza il decreto in mano, mentre se l’avesse fatto dopo averne trattato i dettagli sarebbe stato certamente accusato di averlo fatto troppo tardi. Ma su tutti, spicca l’allarme per la «democrazia in pericolo». Ai tempi felici eravamo tutti allenatori della nazionale. E ci stava: alla peggio, si rischiava un mondiale. Ma da quando siamo diventati sismologi, esperti di spread e oggi addirittur­a epidemiolo­gi, riemerge la mitica «deriva autoritari­a» in arrivo. Così, mentre una parte degli intellettu­ali militanti accusa il governo di aver minimizzat­o troppo a lungo, con tanto di improperi contro Zingaretti che brinda a Milano, un’altra lo accusa di fare tutto troppo in fretta, senza consultare il Parlamento e senza averne i poteri, perché le libertà fondamenta­li e bla bla bla. A nessuno che passi per la mente che la democrazia rischia se non sa proteggere la popolazion­e: se per questo fine usa misure eccezional­i e delimitate nel tempo, si rafforza.

Come sempre quando impera la demagogia, il mondo reale va da tutt’altra parte. Non solo chi sta in trincea, i giustament­e celebrati infermieri e medici, farmacisti, commessi e trasportat­ori. Ma anche, fra i politici, i governator­i regionali. Da Fontana e Zaia, scendendo lo Stivale arriviamo a De Luca, Santelli, Musumeci, Emiliano, Bardi. La prima linea delle istituzion­i, non per caso, reclama e adotta misure drastiche, al limite dei suoi poteri. Chiusure di uffici, quarantene forzate, blocchi dei confini regionali.

Tutti golpisti, evidenteme­nte. Così come il professor Pierluigi Lopalco, epidemiolo­go di fama mondiale chiamato da Emiliano a guidare la task force pugliese contro il coronaviru­s: «Le misure restrittiv­e dureranno almeno fino all’estate. Parliamoci chiaro, questa è la Spagnola del 2020, l’influenza che tra il 1918 e il 1920 fece 500 milioni di ammalati e 50-100 milioni di morti. Andrebbe così anche oggi se non avessimo le terapie intensive e se non avessimo preso misure drastiche per limitare il contagio». Ma che ne sa lui di quali rischi corriamo con la diretta Facebook?

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