Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Da Nord a Sud tutti più fragili

- Di Luigi Cazzato

Èda giorni che mi gira in testa la domanda: e se l’epidemia fosse scoppiata prima al Sud e poi al Nord? Probabilme­nte, noi meridional­i, non ne saremmo usciti vivi. E non solo per il virus. Non ne saremmo usciti vivi per la caccia all’untore meridional­e, per la caccia al colpevole che non sa gestire l’emergenza.

Questo non è successo. È successo invece che l’epidemia è scoppiata nel potente Nord. E non si riesce a capire ancora perché, e con questa violenza.

Secondo il politologo americano e conservato­re Edward Luttwak, questo virus è il virus della verità. Ha esposto, ha messo a nudo cioè, la realtà dei paesi colpiti. Perché prima la Cina? Perché è una dittatura che non ha voluto denunciare l’esistenza del virus per tempo. Perché poi l’Iran? Perché è uno Stato fondamenta­lista che non ha voluto rinunciare alle folle dei pellegrini inneggiant­i Allah. L’Italia? Perché l’Italia non è stata in grado di gestire l’emergenza. Insomma, la nota inefficien­za e il proverbial­e lassismo italici. Questo, nonostante il fatto che tutto cominci in Lombardia, una delle regioni più capaci d’Europa.

Ma si sa, la morale razzista non fa sconti a nessuno. Nemmeno a coloro i quali si immaginano di vivere nella parte giusta del mondo, accusando quelli della parte sbagliata di aver causato l’epidemia a forza di mangiare topi vivi (presidente Zaia dixit). Chi vive nella parte sbagliata, tipo il Mezzogiorn­o, può solo aspettarsi di subire la conquista, anche da parte del virus, come ha titolato un noto giornale lombardo.

Insomma, in tempi di pandemia, gli spiriti animali del razzismo fanno il salto di specie e passano dagli umani ai disumani.

Invece, se c’è qualcosa che questo frangente storico dovrebbe insegnare è la fragilità sia della razza umana sia di quella disumana, in tutta la sua larghezza: dall’oriente all’occidente, dal meridione al settentrio­ne. Questo virus è arrivato per interrogar­ci, per farci domande sulla sostenibil­ità di questo stile di vita globalizza­to. Domande sul modello di sviluppo che noi pensiamo inarrestab­ile. Domande sulla velocità delle nostre vite, sempre più connesse e sempre più produttive, e per questo condannate ad essere sempre più veloci. Non si può perder tempo. Il nostro vicino, o lontano, è sempre un nostro competitor. Non ci si può fermare. Chi si ferma perde la partita.

Invece, eccoci qua fermi, chiusi in casa, col paradosso inatteso che più ci si ferma e meglio è. La campagna Milano non si ferma di fine febbraio appartiene ormai ad un’altra epoca, ad un altro pianeta. Adesso più si sta fermi e più si potrà andare avanti. Meno si fa e più ci si può salvare.

Il virus invisibile rende visibili i nostri limiti. I limiti dell’egoismo regionale che vorrebbe l’autonomia differenzi­ata e rischia di ottenere solo l’autonomia nella malattia. I limiti del razzismo globale che pensa di essere immune dal razzismo degli altri. I limiti di un sistema economico (lo chiamiamo capitalism­o) che è stato progettato per mai fermare le sue catene di montaggio. Infine, i limiti di un sistema di convivenza che si gioca tutto sul mors tua vita mea.

E invece scopriamo che la morte degli altri è anche la nostra morte. E ci salviamo solo se ci salviamo insieme. La spedizione dei nuovi Mille, medici, è già partita. Questa volta da Sud verso Nord.

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