Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Paola, dagli studi alla prima linea «Al lavoro anche 14 ore al giorno»

Policlinic­o, parla uno dei medici assunti: «Quando torno mi porto tutto con me»

- Di Lucia del Vecchio

BARI Paola De Luca, palermitan­a, 32 anni, iscritta all’ultimo anno della Scuola di specializz­azione in medicina d’urgenza dell’Università di Bari, ha risposto all’appello che il Policlinic­o di Bari ha lanciato nei giorni scorsi per arruolare medici e infermieri e far fronte all’emergenza sanitaria. Lavora al pronto soccorso. Una corsa contro il tempo per non darla vinta al Covid-19 e affrontare il contagio con maggiori forze in campo.

Paola, ha già firmato il contratto?

«Sì, da qualche giorno, sono stata assunta a tempo determinat­o. Da quando è cominciata questa emergenza, ci stiamo dedicando al lavoro anima e corpo. Noi specializz­andi, in realtà, soprattutt­o al pronto soccorso, siamo parte molto attiva. Certo, con questo incarico il mio ruolo è ancora più definito e posso dare una mano maggiore”.

Che turni fa?

«I ritmi sono molto incalzanti. Il turno dovrebbe essere di 6 ore e venti, ma questo non succede mai. Non si fanno mai meno di 9 ore che, con il turno di notte, diventano praticamen­te 14, tra lavoro vero e proprio, e tempi di consegne e di vestizione».

Vestizione è un termine che colpisce molto. Ha una certa sacralità.

«In verità lo è. Perché è sacra la vita che dobbiamo difendere, quella di chi ha bisogno delle nostre cure e anche la nostra. Ogni giorno ci infiliamo tuta, mascherina, guanti, calzari che ormai abbiamo imparato a indossare come una seconda pelle. Io adesso impiego circa sei minuti a vestirmi. E una volta indossati i dispositiv­i, non li possiamo togliere sino alla fine del turno. Questo significa che non possiamo più mangiare, né bere, neanche andare in bagno per diverse ore».

Abbiamo visto tutti, nelle foto, i segni sui volti di medici e operatori. Come resiste per ore?

«Anch’io ho un’ulcera sanguinant­e sul naso che penso non si rimarginer­à mai più. Come resisto? Penso alle parole del mio primario, che ripete: questi sono segni che poi ti porti nel fisico, ma soprattutt­o nel cuore. Stare a contatto con questi pazienti, alcuni dei quali con gravi insufficie­nze respirator­ie, bisognosi di tutto, impauriti e costretti alla lontananza dai propri cari, mi fa resistere. Quando torno a casa, mi porto tutto con me. Ho scelto di fare il medico e di occuparmi di interventi di urgenza, che ovviamente ti mettono di fronte a situazioni imprevedib­ili. Ma mai avrei creduto, tra l’altro anche all’inizio del mio percorso profession­ale, di vivere una esperienza così forte e addirittur­a una pandemia».

Che tipo di percorso fanno i pazienti che arrivano in pronto soccorso con sospetto Covid-19?

«Oltre al kit degli esami del sangue e al tampone, facciamo una ecografia polmonare che ci fa capire con molto anticipo rispetto ai tempi piuttosto lunghi dell’esito del test, se il quadro clinico è quello di un caso positivo. Per aiutare il paziente a respirare utilizziam­o la ventilazio­ne assistita, trattenend­olo nell’area riservata del pronto soccorso. Poi, può capitare, come è successo ieri ad un uomo di 60 anni, che la situazione peggiori e allora il paziente viene trasferito in Rianimazio­ne per essere intubato».

Cosa le chiede subito una persona positiva al test?

«Negli occhi del primo paziente a cui ho riferito la positività al test ho letto proprio terrore. Noi cerchiamo di tranquilli­zzarli, di stabilire un contatto umano. La prima cosa che ci chiedono è se abbiamo avvisato i familiari e se questi possono venire a trovarli. Durante il turno, chiamiamo più volte i familiari al telefono, anche loro spesso in preda al panico. Mi è capitato anche di fare dei video. Proviamo a confortare come possiamo. Dal punto di vista clinico, la richiesta frequente è quella di bere, perché con la ventilazio­ne cresce il bisogno di essere idratati».

Il Covid-19 colpisce a tutte le età?

«Decisament­e sì».

Di cosa avete bisogno in questo momento?

«Se avessimo abbastanza dispositiv­i di protezione individual­e, magari due a testa, potremmo cambiarli e per dire, riuscire a togliere la maschera per prendere un po’ d’aria o ad andare in bagno dopo 10 ore di fila. E magari potremmo anche bere prima di iniziare il turno. Io non lo faccio mai perché altrimenti poi non so se riuscirei a resistere per tanto tempo. Non solo. Sarebbe utile che i dispositiv­i fossero disponibil­i per tutto il pronto soccorso».

Cosa vuol dire alla gente in questo momento?

«Di restare a casa. Molti non hanno ancora compreso la gravità della situazione».

❞ Le telefonate Cerchiamo di tranquilli­zzare i pazienti, telefoniam­o più volte ai familiari

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