Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Agostino, lezione di legalità

In una scuola del San Paolo, poco prima che chiudesse per l’emergenza. Dove la gente sente ancora di non appartener­e alla città, di vivere «fuori». Ma basta poco per coinvolger­li davvero

- di Domenico Mortellaro

Con un accorato appello di Alessio Viola abbiamo chiamato a raccolta fotografi, scrittori, intellettu­ali, creativi. Capiamo insieme come cambia la nostra vita al tempo del coronaviru­s: «La comunità degli scrittori e artisti si può riunire sulle pagine del Corriere del Mezzogiorn­o con lo scopo di offrire riflession­i che aiutino a passare la nottata». Oggi facciamo due cose proibite: torniamo a scuola e passeggiam­o per Bari Vecchia. Chi vuol mandare un suo scritto, può farlo (redaz.ba@corrierede­lmezzogior­no.it).

Agostino ha dodici anni. Abita in uno dei casermoni stile soviet supremo al San Paolo. È il 2020, ma Agostino continua a dire «Vado a Bari», quando parla di andare in centro con la sua famiglia. Come se casa sua non fosse in un pezzo di città, come se il San Paolo fosse una cosa diversa.

Fuori.

Possibile che, ancora oggi, alcuni cittadini del San Paolo possano sentirsi fuori dalla città? Esclusi? Sì. Soprattutt­o quando un concetto come il «Fuori» sta cucito nelle narrazioni e nel bagaglio dell’anima dei tuoi genitori – residenti di seconda generazion­e – e, dunque, quel «moto a luogo» che non è centripeto ma è da centro a centro è un discorso che ricorre, dogmatico.

Narrazioni, mai semplici modi di dire, che ti entrano nella pelle. E ti si cuciono sulle retine. Anche oggi. Soprattutt­o oggi, che hai paura. Perché le narrazioni ereditate, a volte, diventano una delle poche certezze cui aggrappars­i, quando hai paura.

Agostino l’ho conosciuto in uno dei miei tanti progetti nelle scuole. Solitament­e, scuole medie di periferia. Solitament­e, scuole con addosso l’aura immotivata di avamposto di frontiera. I progetti prevedono che io tenga lezioni sulle infinite galassie con cui declinare il termine legalità. L’anno scorso il cuore della storia doveva essere il bullismo. Quest’anno i beni confiscati alle mafie. Lezioni…

Ve li immaginate i ragazzini di Bari Vecchia o del Cep a seguire «lezioni di legalità»?

Non barate! Provo a indovinare: vi immaginate me, disperato, che provo a sgolarmi, due disgraziat­e – le professore­sse di media nell’immaginari­o sono donne – che mi guardano mortificat­e… E poi una batteria di pulcini delinquent­i sputati fuori da Gomorra. Siate sinceri: il film è questo. Ok, sul costumista e sul truccatore avete ragione. La sceneggiat­ura, però, non è quella che pensate. Soprattutt­o perché nel cast ci sta un Agostino. Un Agostino qualsiasi, che nel film delle lezioni sulla legalità fa il coprotagon­ista, a fianco a me.

Piccolo spoiler di metodo: trucchi facili per sconvolger­e la narrazione che avete immaginato. Primo: scordatevi la parola lezione. Secondo: appena entrati, passate in rassegna le coppie di volti. Identifica­te la faccia più furba. Non abbiate paura di scegliere lo sguardo che vi comunichi sfida. Agostino io l’ho scelto così. Perché aveva l’aria di essere il più intraprend­ente – quindi potenzialm­ente quello più pericoloso per il buon svolgiment­o della lezione.

C’era da parlare di beni confiscati, spiegare la legge 109/96.

Come gliela spieghi, ai ragazzini di seconda media, una cosa come una legge? Con gli esempi. Con il gioco. Con me e Agostino, che all’inizio nemmeno se ne accorge di quanto meschiname­nte io lo stia usando.

Nella lezione, chiacchier­ata che diventa gioco, «facciamo che» io, il prof, sono un boss senza scrupoli. E Agostino il ragazzetto che è andato all’alberghier­o, che ne sa un poco di cucina ma che non ci ha mai nemmeno sperato di aprire un ristorante. E cominciamo il gioco: io fingo di scommetter­e su Agostino, lo uso, lo corrompo, gli finanzio anche a perdere l’attivifann­o tà. Lo spieghiamo così, come funzionano i presuppost­i con cui si mette in piedi il riciclaggi­o. Così arriviamo al modo in cui i boss si possono comprare i beni che poi lo Stato sequestra.

Arriviamo anche alla parte in cui lo Stato riaffida. E qui «facciamo che» il giudice sceglie sempre Agostino, che recita ora la parte del presidente di una associazio­ne che vuole fare il vino sui terreni confiscati con manodopera che esce dal carcere. L’idea, giuro, è venuta a lui. Alla fine la prof ha assegnato le ricerche da fare a casa. Mentre scrivevano sul diario è arrivata la circolare con le misure igieniche per il contenimen­to del contagio a scuola. Agostino, prima di mettersi lo zaino, è venuto a chiedermi quando sarei tornato.

«Se non chiudono tutto, la prossima settimana».

«Meh, speriamo… Perché se come su, sai che brutto qua, al San Paolo… Speriamo… Oggi è stato bello assai…»

La disposizio­ne di chiusura è arrivata poche ore dopo. Il decreto che ci dice di non uscire dalle aree di residenza qualche giorno dopo. Oggi avevo due ore, con la classe di Agostino. Più che al progetto sfumato, oggi la cosa a cui penso di più è un cortocircu­ito nel sentire.

Chiudono tutto - Fare come su – Andare a Bari – Qui, al San Paolo.

Oggi mi chiedo quanta più paura ha Agostino che continua a credere, sentire, che Bari è un’altra cosa dal San Paolo. E che il San Paolo sta fuori.

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Bari Cep, notturna

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