Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE PARIGI È A SUD COME BARI
Roma. Repubblica. Venite!». È il 9 aprile 1849, e il giovanissimo patriota Goffredo Mameli scrive un concitato telegramma a Giuseppe Mazzini. La Repubblica romana si infiamma, anticipando il Risorgimento, ed è l’ora delle grandi decisioni. In gioco ci sono l’unità della nazione in nome della libertà e del progresso. Questa primavera del 2020 ha lo stesso segno. «Europa. Tragedia. Intervenite!», si potrebbe telegrafare a Bruxelles. La pandemia mette a rischio non solo l’Unione ma, prima ancora, la libertà e la dignità di milioni di persone, in un continente che, pur fra mille contraddizioni, ha costruito la civiltà e ne è ancora oggi riferimento per tutto il pianeta.
Il Mameli di questo momento storico è Mario Draghi. Meno focoso ma non meno determinato, l’ex governatore della Banca centrale europea (Bce) ha detto chiaro e tondo al Financial Times che non si può esitare un minuto: «Le guerre erano finanziate aumentando il debito pubblico. Bisogna proteggere la popolazione dalla perdita dei posti di lavoro e difendere la capacità produttiva con immediati sostegni di liquidità. La perdita di reddito non è colpa di chi la soffre: la memoria delle sofferenze degli europei negli anni ‘20 sono un ammonimento». Ma dall’altra parte, per ora, non ci sono in arrivo né Mazzini né tantomeno Garibaldi. Prevalgono schemi antichi e scontati, con i paesi del Nord nel ruolo di frenatori.
Finora sono stati presi provvedimenti non irrisori: la sospensione del patto di stabilità e delle norme sugli aiuti di Stato, un nuovo Quantitative Easing (piano Pepp), cioè l’acquisto di titoli da parte della Bce fino a 870 miliardi nel 2020, e 3 mila miliardi di liquidità a disposizione delle banche a tasso negativo. Ma in guerra non bastano le politiche espansive previste per la pace. Il “Nord” del benessere europeo si oppone frontalmente al piano Omt - acquisto di titoli di Stato senza limiti - e soprattutto alla richiesta dei Coronabond, titoli di debito europei che permetterebbero di fronteggiare una crisi che si preannuncia feroce. Non a caso, molti economisti li vedono come perpetui o comunque a lunghissima scadenza: «Da distribuire su diverse generazioni», dicono Giavazzi e Tabellini.
Il Nord dice no, ma fa male i suoi calcoli. E non solo per ragioni di tenuta dell’Unione, ma perché la sua stessa ricchezza si basa sulla tenuta del mercato del consumo e nella capacità produttiva degli “altri”, quelli più poveri e indebitati. Inoltre c’è un dato ineludibile. In questa guerra del 2020 il Sud è diventato grande quanto mezza Europa. Sulla linea del premier italiano Giuseppe Conte ci sono oggi non solo la Grecia e il Portogallo, ma la Spagna, la Slovenia, l’Irlanda, il Belgio e il Lussemburgo. E soprattutto, c’è la Francia, uno dei paesi-guida dell’Ue, il cui asse con Berlino ha da sempre irrigidito ogni passo dell’Europa.
Oggi, il lavoratore precario del Mezzogiorno d’Italia è sulla stessa linea di quello francese, belga o irlandese. Oggi, dalla Sicilia alla Britannia e più su ancora, vi è la percezione di un comune destino. Se non si sostiene il reddito e se la domanda non riparte, non solo salta il mercato comune ma la stessa democrazia europea viene sottoposta a traumi dagli esiti imprevedibili. Lo schema mercato unico e moneta unica senza un’unica economia è stato finora il virus dell’Europa unita. Da oggi in poi può diventare letale.
Il giovane Mameli morì dopo neppure due mesi da quel messaggio a Mazzini, per una ferita alla gamba rimediata in battaglia. Mario Draghi invece è vivo e vegeto, e con lui un governo che ha il compito di far capire al suo “Nord” che la vita delle persone val più dei calcoli di politici senza il senso della Storia.