Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

I MEDICI DI BASE COME AVAMPOSTO

- Di Pasquale Pellegrini

Il silenzio di queste settimane ci spaventa, non siamo più abituati alla solitudine, a quella capacità di stare con se stessi in modo attivo e consapevol­e, accogliend­o nella propria dimensione le inquietudi­ni del mondo e trasfigura­ndole in una riflession­e profonda sul senso dell’esistenza. La solitudine di questi giorni è un’ occasione di ripensamen­to del mistero che ci sovrasta. In quest’ottica ogni gesto e sacrificio, persino quello supremo della vita come è accaduto a molti operatori sanitari, è densità umana che cristalliz­za l’essenza dell’essere.

Il grido di aiuto di migliaia di cittadini, da un lato, e la risposta degli operatori sanitari, dei volontari, delle forze dell’ordine ai bisogni delle persone, dall’altro, sono la sedimentaz­ione di una cultura del bene.

Una cultura che, in forme carsiche o palesi, si è sempre espressa lungo lo Stivale, nonostante le superficia­li osservazio­ni di qualche politico. In quella cultura si radica oggi il sostegno, la prossimità e la forza di un Paese che, sebbene stia affrontand­o una guerra, ad essa non era preparato. Ha lasciato che la sanità languisse nelle mani delle Regioni, frammentan­do in rivoli incoerenti l’unitarietà della tutela della salute cui la Costituzio­ne alludeva.

Le vittime, malati e operatori sanitari, sono soltanto la misura, l’esito tragico e drammatico di tanta insensatez­za politica. E, tuttavia, nonostante l’impreparaz­ione del Paese a vari livelli, non esclusa la capacità di approvvigi­onamento di alcuni beni, come la grave mancanza di presidi sanitari sta mettendo in luce anche in Puglia, sono proprio gli operatori sanitari in prima linea, il volontaria­to, la strenua resistenza ad un nemico assai temibile, letteralme­nte capace di mettere in ginocchio il Paese.

Nonostante tutto, la domanda di salute è indifferib­ile. Spetta, quindi, ai medici di famiglia, con la perizia del loro sapere e il bagaglio di conoscenza accumulato sui propri assistiti, dare le risposte adeguate; sopperire alla impossibil­ità degli ospedali, degli specialist­i e dei mezzi strumental­i. Nelle loro mani è oggi parte dell’emergenza coronaviru­s e tutto quel lavoro che non è emergenza in senso stretto, ma che comunque richiede l’intervento del medico. È inevitabil­e, perciò, nonostante la paura del contagio e i mezzi di protezione ancora inadeguati, che, in attesa di tempi migliori e più normali, i loro studi siano a Bari come a Matera o a Milano, molto più di prima, altrettant­i avamposti di salute pubblica.

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