Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I MEDICI DI BASE COME AVAMPOSTO
Il silenzio di queste settimane ci spaventa, non siamo più abituati alla solitudine, a quella capacità di stare con se stessi in modo attivo e consapevole, accogliendo nella propria dimensione le inquietudini del mondo e trasfigurandole in una riflessione profonda sul senso dell’esistenza. La solitudine di questi giorni è un’ occasione di ripensamento del mistero che ci sovrasta. In quest’ottica ogni gesto e sacrificio, persino quello supremo della vita come è accaduto a molti operatori sanitari, è densità umana che cristallizza l’essenza dell’essere.
Il grido di aiuto di migliaia di cittadini, da un lato, e la risposta degli operatori sanitari, dei volontari, delle forze dell’ordine ai bisogni delle persone, dall’altro, sono la sedimentazione di una cultura del bene.
Una cultura che, in forme carsiche o palesi, si è sempre espressa lungo lo Stivale, nonostante le superficiali osservazioni di qualche politico. In quella cultura si radica oggi il sostegno, la prossimità e la forza di un Paese che, sebbene stia affrontando una guerra, ad essa non era preparato. Ha lasciato che la sanità languisse nelle mani delle Regioni, frammentando in rivoli incoerenti l’unitarietà della tutela della salute cui la Costituzione alludeva.
Le vittime, malati e operatori sanitari, sono soltanto la misura, l’esito tragico e drammatico di tanta insensatezza politica. E, tuttavia, nonostante l’impreparazione del Paese a vari livelli, non esclusa la capacità di approvvigionamento di alcuni beni, come la grave mancanza di presidi sanitari sta mettendo in luce anche in Puglia, sono proprio gli operatori sanitari in prima linea, il volontariato, la strenua resistenza ad un nemico assai temibile, letteralmente capace di mettere in ginocchio il Paese.
Nonostante tutto, la domanda di salute è indifferibile. Spetta, quindi, ai medici di famiglia, con la perizia del loro sapere e il bagaglio di conoscenza accumulato sui propri assistiti, dare le risposte adeguate; sopperire alla impossibilità degli ospedali, degli specialisti e dei mezzi strumentali. Nelle loro mani è oggi parte dell’emergenza coronavirus e tutto quel lavoro che non è emergenza in senso stretto, ma che comunque richiede l’intervento del medico. È inevitabile, perciò, nonostante la paura del contagio e i mezzi di protezione ancora inadeguati, che, in attesa di tempi migliori e più normali, i loro studi siano a Bari come a Matera o a Milano, molto più di prima, altrettanti avamposti di salute pubblica.