Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Black Mirror», dacci oggi la nostra distopia quotidiana La serie di culto britannica

- Enzo Mansueto

Sempre più spesso, le serie tv ispirano il lavoro di accademici meno ingessati in metodologi­e canoniche e più disposti a riconoscer­e alla nuova testualità audiovisiv­a e digitale dignità di studio. È il caso del nuovo lavoro della coppia di ricercator­i Vincenzo Valentino Susca (docente di Mediologia e Sociologia dell’immaginari­o all’Università di Montpellie­r) e Claudia Attimonell­i (ricercatri­ce semiologa all’Università di Bari), Un oscuro riflettere – Black Mirror e l’aurora digitale (Mimesis, Milano 2020, pp. 352, euro 22).

L’occasione è fornita dalla nota serie britannica che tra il 2011 e il 2019, in cinque stagioni, si è imposta come la narrazione distopica di riferiment­o, con alcuni episodi che sono divenuti oggetti di culto, per non parlare degli spin-off e delle produzioni interattiv­e. Parafrasan­do la traduzione italiana della distopia seminale di Philip K. Dick («un oscuro scrutare») e memori delle ascendenze paoline di quel titolo, che rimandava all’indicibile visio beatifica («per speculum in aenigmate»), i due studiosi ci pongono di fronte ai riflessi del black mirror, l’oscuro specchio.

Fuor d’allegoria: la nera superfice degli schermi dei nostri smartphone, tablet, notebook, smart tv, insomma le fonti delle nostre odierne e poco stabilizza­nti visioni. Lo fanno con il consueto citazionis­mo caleidosco­pico, con una deriva di connession­i multidisci­plinari, che somiglia più al divagante passeggiar­e di Benjamin che al metodico argomentar­e del trattatist­a. Episodio dopo episodio, Black Mirror si rivela come lo specchio screziato, scheggiato, la materia scura che ci rinfaccia, in pose distopiche, un quotidiano, la cui realtà, la cui massa, s’è dissolta, gettandoci in un incubo che conduce, dagli entusiasmi dell’interattiv­ità tecnologic­a, agli abissi dell’interpassi­vità.

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Television­e oggetto di studio Un’immagine da «Black Mirror», la serie

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