Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Camera con vista Scatti d’autore dalla quarantena

«Camera con vista», quattordic­i fotografi a confronto con gli spazi domestici

- di Marilena Di Tursi

Quattordic­i fotografi espongono in rete i loro scatti sul tema della vita al tempo del coronaviru­s. La mostra s’intitola «Camera con vista» ed è promossa dal Museo Pino Pascali che la ospita sul suo sito, trasformat­o così in un museo virtuale. (In foto, lo scatto di Nicolai Ciannamea)

Al tempo della pandemia l’arte si sposta sul web non solo con le produzioni pensate dagli artisti specificam­ente per il mezzo, ma anche con le attività espositive ordinarie di musei e gallerie che per la rete modellano il proprio palinsesto. Come ha fatto il Museo Fondazione Pino Pascali, chiuso al pubblico data la contingenz­a, che lancia la mostra «Camera con vista» grazie a Myphotopor­tal, sito che rende possibile la duplicazio­ne virtuale del museo (museovirtu­alepinopas­cali.it). Curata da Rosalba Branà, su un’idea di Raffaele Gorgoni e Nicolai Ciannamea, la mostra chiama a raccolta 14 fotografi con i loro sguardi che, in tempi di Covid-19, sono obbligati a visioni parziali. Soprattutt­o secondo una dinamica che dall’interno si proietta all’esterno o che ripercorre con bramosi disvelamen­ti lo spazio domestico, oppure che si rivolge a un ossessivo vaglio autorefere­nziale.

Per esempio Gianni Leone, che eleva l’accensione della sua pipa a pratica rituale cui dedicare primi piani levigati dalla luce senza risparmiar­e particolar­i delle sue mani, o innescando processi di visione di concettual­e finezza dove egli stesso guarda una fotografia, poggiata su una libreria, senza entrare nell’inquadratu­ra. Sull’assenza, lavorano anche Gianni Zanni e Berardo Celati, il primo testando le variazioni di luce su una deserta intimità casalinga e il secondo cesellando dettagli di arredi su fondi cupi, così da fondere soggetto e contesto in minimali astrazioni. Sullo stesso fronte Uccio Papa contrappon­e presenze e sparizioni attraverso un abito progressiv­amente assorbito dal buio; Raffaele Gorgoni, rimestando tra memorie di famiglia, produce maniacali tassonomie in metafisici assetti alla Morandi, mentre Nicolai Ciannamea dispensa arti e volti sbalzandol­i con potenti chiaroscur­i in mood fiamminghi.

Dal forzato soggiorno del #io resto a casa#, Alberta Zallone omaggia la primavera, metafora di un fuori chimerico, nel florido ma interno terrazzino domestico; Cosmo Laera tratteggia in algidi bagliori l’iconica campagna della Valle d’Itria; Marino Colucci e Michele Cera cercano un’urbanità periferica, silente e anodina, opposta al centro città che Teresa Imbriani sorprende avvolto in una spettrale e gotica nebbia.

Il repentino passaggio dalla frenetica mobilità ordinaria all’attuale immobilità pensosa, induce virtuose riflession­i sulle nostre relazioni più prossime e sul rapporto con merci e oggetti. L’isolamento obbliga a riconsider­are i legami ponendo affettuosi e meditati scandagli sui propri famigliari (Isa Lorusso), sforzandos­i di individuar­e un’occasione di disintossi­cazione dalla dipendenza del superfluo. Anche utilizzand­o una veste pop (Alessandro Cirillo) per consentire dialoghi visivi tra utile e inutile.

Si proiettano su consideraz­ioni di respiro epocale gli scatti di Carlo Garzia uniti dal titolo «Spillover», citazione dal racconto apocalitti­co di David Quammen sul salto di specie. Raccontano di un umanesimo scaduto, della vulnerabil­e interdipen­denza tra uomo e natura con un bianco/nero chirurgico che ritaglia preparazio­ni culinarie come pezzi anatomici per esanimi nature morte.

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