Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Dai libri alla meditazione zen come convivere con il Covid
Dal libro di Xavier de Maistre alla meditazione zen non mancano gli strumenti adatti per fare tesoro di una lunga quarantena. È per il dopo che le decisioni bisogna saperle prendere da soli
Con un appello di Alessio Viola abbiamo chiamato a raccolta scrittori e intellettuali: lo scopo è capire come sta cambiando la nostra vita al tempo del coronavirus, offrendo ai lettori riflessioni che aiutino a passare la nottata. Oggi vi proponiamo un contributo di Pia Chiarappa, giornalista, trekker e naturopata. Chi vuole, può mandare il suo testo (non più lungo di 5000/ 5500 battute, spazi inclusi, corredato da foto e minibiografia dell’autore) all’e-mail redaz.ba@corrieredelmezzogiorno.it.
«Ascolta, ascolta, ascolta. Questo suono meraviglioso ti riporta alla tua vera casa!». La campana ha appena finito di vibrare dal tablet sintonizzato da oltre un’ora sul mio gruppo di meditazione zen.
Chiusa da giorni e giorni nella mia casetta di muri e vetrate, seduta a gambe incrociate sul mio cuscino da meditazione, provo una netta sensazione di spazio, uno spazio ampio senza metri quadrati definiti, senza un soffitto che mi impedisca la vista del cielo, senza una porta chiusa che mi separa dagli amici da tanto tempo e soprattutto da mia figlia che ho abbracciato oltre due mesi fa nella sua casa di Milano.
In quella «vera casa», così spaziosa e aperta, mia figlia c’è. Sempre. A volte ha pochi mesi e si placa dalle sue colichette dolorosissime solo se la cullo fra le mie braccia. Altre volte è com’è adesso: una meravigliosa donna di 32 anni, che stimo intensamente per quello che fa e per come lo fa e con cui condivido passioni, valori, opinioni e, ovviamente, tanto davvero tanto amore. E questo sentirmi vicino a lei è una delle ragioni per cui questo appuntamento on di ogni pomeriggio – offerto dal monaco che ci guida con tanta generosità in questa maniera insolita a causa di un virus che ha stravolto le nostre vite e ci impedisce di incontrarci dal vivo – è diventato per me un appuntamento fondamentale con la Vita (sì proprio con la V maiuscola).
In questi strani giorni spesso mi guardo, guardo quello che c’è intorno a me e vedo tutto come racchiuso in una bolla di vetro, in un guscio trasparente che avvolge tutto e tutti, che separa noi umani gli uni dagli altri e ci impedisce di vivere. Tutto bloccato, tutto in pausa. E non solo le attività produttive, le scuole, le università, gran parte dei servizi pubblici, tutti i luoghi dove eravamo soliti incontrarci con gli altri. Sono le nostre emozioni vitali, come la gioia, la leggerezza, ad essere bloccate, ad essere in pausa. Rubinetti aperti, invece, per la paura, l’ansia, l’inquietudine, la tristezza, il dolore. A volte vedo anche crescere l’aggressività: i vicini che si trasformano in delatori perché t’hanno visto uscire di casa senza un cane, sindaci di piccoli comuni che credono di aver finalmente raggiunto la notorietà tanto agognata perché dalle loro pagine Facebook minacciano «vita non facile» agli abitanti di complessi residenziali accusati di andare a correre nei viali della proprietà privata.
Accanto a questo, però, prorompente, vedo una fame di Umanità. Che ti fa rivolgere un sorriso senza riserve alla prima persona che incontri, che ti fa riallacciare rapporti che pensavi deteriorati per sempre, che ti fa telefonare a quell’amica che non sentivi da tanto e ti fa pensare «fanculo se lei non mi chiama mai, la chiamo lo stesso!». Che ti fa venir voglia di uscire sul balcone con la tazza del caffé in mano e parlare a lungo con la tua vicina con la quale avevi scambiato sì e no una decina di parole in una manciata di anni. E poi la voglia di abbraccio, il desiderio di stringere l’altro. Quell’abbraccio che è gesto carnale dell’accogliere e dell’essere accolti, atto umanissimo di fratellanza e mescolanza, sintonia fisica e metafisica di cuori che s’incontrano.
In questo tempo strano, doloroso per tanti ma anche prezioso per tutti mi sembra più facile riflettere su quello che è importante davvero per ognuno di noi e per la collettività umana. Ho avuto per esempio una visione chiara di quella che dovrà essere, quando tutto questo sarà finito, la distanza chilometrica fra mia figlia e me. Con il pieno rispetto delle sue decisioni, proverò ad accorciarla questa distanza. Chi l’ha detto che dobbiamo considerare normale vivere a centinaia e centinaia di chilometri di distanza perché qui al Sud non ci sono possibilità per un figlio che ha studiato in un’università del Nord? Chi l’ha detto che per essere autonomo un giovane debba vivere lontano dai propri cari, lontano dall’abbraccio dei genitori e noi dai loro?
Anche questo andrà ripensato quando il virus avrà esaurito la sua carica e sarà crollaline to sconfitto ai piedi di un vaccino o di un farmaco che lo annienti. Andrà ripensata da parte di tutti la Vita vera, quella che ora in questo tempo strano e doloroso e propizio io vivo seduta sul mio cuscino da meditazione chiusa in casa, lontana, sola, connessa sì ma a distanza.
Ps: abbiamo ancora molto tempo prima di rimettere (o mettere ex novo) a posto le nostre vite e per questo fra i tanti forse troppi audio, video, messaggi ricevuti, uno in particolare mi ha colpito: l’invito a leggere un libro scritto 230 anni fa dallo scrittore francese Xavier De Maistre. Viaggio intorno alla mia camera. E’ la storia, o meglio la sua – De Maistre fu una delle poliedriche personalità vissute nel fervido periodo a cavallo fra la fine del ’700 e l’inizio dell’800 – di un giovane militare di stanza a Torino che litiga con un ufficiale e si becca una bella quarantena, 42 giorni di arresti domiciliari. Non sapendo cosa fare, decide di scrivere un libro, un piccolo capitolo al giorno, 42 in tutto. Il suo mondo diventa la sua camera, dove riscopre innanzitutto se stesso e pian piano anche tutti gli oggetti immersi fino a quel momento nella quotidianità, lettere, stampe, quadri, riconsiderati nell’eccezionalità del momento con rinnovato stupore.
Certo, quando la nostra di quarantena sarà finita, ci ritroveremo ad esprimere gratitudine per la libertà ritrovata, per il pericolo scampato per l’umanità intera, ma forse ci ritroveremo per un po’ nelle parole finali del libro di De Maistre: «Devo lasciarti, incantato paese della fantasia, la mia camera. Proprio oggi certe persone da cui dipendo pretendono di restituirmi la libertà. Come se mi fosse stata tolta! Mi hanno vietato di percorrere una città ma mi hanno lasciato il mondo intero». Buona lettura e buona Vita (quella con la V maiuscola).