Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

ADEGUARSI ALL’ARIA CHE TIRA

- Di Pasquale Pellegrini

Evidente è soprattutt­o la portata del dramma, il senso di prostrazio­ne sul piano economico e sociale in cui il coronaviru­s ha costretto il Paese. Meno, invece, è il dato ambientale. Piccoli segnali, positivi per fortuna, rivelano molto dei comportame­nti e della pressione dell’uomo sull’ambiente. Qualità dell’aria, inquinamen­to acustico sono aspetti che risentono del blocco imposto dall’epidemia. Secondo i dati dell’Arpa, nei primi quattro mesi dell’anno, la qualità dell’aria in Puglia è ovunque di qualità ottima o buona. Tuttavia, è nel dettaglio che si possono cogliere le variazioni. Nonostante gli inquinanti siano, sul territorio regionale, nei limiti imposti dalla legge, tra marzo aprile si nota il migliorame­nto di tutti i parametri, dai pm10 agli ossidi di azoto e al benzene. Quest’ultimo, un cancerogen­o presente nei combustibi­li, ha toccato livelli bassissimi. Solo nella zona di Taranto gli effetti positivi sono meno pronunciat­i.

In fondo è quello che ci si aspettava: meno auto in giro, ridotte attività industrial­i, migliore qualità dell’aria. Salta all’occhio, però, un anomalo livello di polveri sottili tra il 29 e il 31 marzo registrato da tutte le stazioni di rilevament­o. Che cosa è successo? «La Regione – spiega il rapporto – è stata soggetta ad avvezione di polveri desertiche provenient­i dalla Regione del Mar Caspio». Lo scorso anno, in aprile, erano giunte dal Sahara.

Anche l’inquinamen­to acustico potrebbe aver beneficiat­o del Covid-19. Mancando rilevazion­i recenti il condiziona­le è d’obbligo.

Dai Piani d’azione, il documento fondamenta­le per la gestione dei problemi di tale inquinamen­to e degli effetti, delle province pugliesi si evince che il traffico stradale è la principale sorgente del rumore urbano. Nel 2017 il progetto Treno Verde di Legambient­e aveva diagnostic­ato il superament­o dei limiti di legge in più punti di Bari. Anche allora responsabi­le era il traffico cittadino. Alla luce di queste osservazio­ni, immaginare che il virus abbia migliorato l’inquinamen­to acustico è verosimile.

Certe invece sono le nuove informazio­ni che il Covid 19 sta permettend­o di acquisire in sismologia. «Questo nuovo scenario – conferma Nicola Venisti dell’Osservator­io sismologic­o dell’università di Bari – ha permesso a chi si occupa di monitoragg­io sismico di accorgersi di una interessan­te variazione nelle registrazi­oni dei sismografi, in particolar­e di quelli che si trovano in prossimità dei centri abitati». Non è diminuito il numero dei terremoti, ma, a causa delle ridotte attività umane, si è avuto un calo del rumore sismico, il ronzio di fondo prodotto dalle vibrazioni nella crosta terrestre. «Basti pensare - aggiunge Venisti – che i sismometri della stazione sismica di Bari hanno una sensibilit­à tale che registrano il rumore prodotto dai carrelli del personale delle pulizie all’inizio dell’attività alle 5.30 del mattino». Quindi, in questo frangente, si possono cogliere segnali che si confondeva­no con il rumore con benefici per la ricerca.

L’occasione non va sprecata. Il coronaviru­s sta dicendo, in fondo, una banale verità: che c’è ancora un buon margine per migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Occorre che la politica ne abbia consapevol­ezza.

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