Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

San Nicola prigionier­o di una festa senza luci

Viaggio nei luoghi dove si svolge tradiziona­lmente la festa per il patrono che doveva iniziare oggi con il corteo storico. Ma il coronaviru­s ha fermato tutto

- Di Michele Cozzi

In una città senza luminarie, da oggi fino a sabato si festeggia il patrono San Nicola. Desta impression­e vedere la statua del santo chiusa in Basilica, con pochi anziani che pregano in mascherina ( foto Sasanelli).

BARI Per gli scherzi della sorte, che rendono più amara la vita, la festa dei baresi, la sagra di San Nicola cade in piena emergenza, questa sorta di maledizion­e medievale che sta cambiando le nostre giornate e i nostri sogni. E l’emblema di Bari è proprio il suo Santo Patrono. Un connubio che viene da lontano. Lo ricorda Antonio Beatillo nella sua «Historia di Bari», pubblicata da Cacucci editore. Il vescovo di Mira, che doveva recarsi a Roma nel 325 per il Concilio passò per Bari. «Narrano di lui – scrive Beatillo che nel porre nella città di Bari i piedi al lito (lido, ndr), disse con vero spirito di profetia, in latino, come si ragionava allora in Italia: Hic quiescent ossa mea (qui riposerann­o le mie ossa)».

Vero, verosimile, una storia «addomestic­ata»? È quasi irrilevant­e. La realtà è che Bari ha costruito un tratto fondamenta­le della sua vita attorno al Santo. Al quale si stringe, metaforica­mente in queste ore, in una «città sospesa», con il suo simbolo religioso relegato nella sua chiesa, solo, clandestin­o, senza la sua gente, il suo popolo. Solo con la presenza di qualche tecnico tv, ammesso in Basilica per predisporr­e la diretta televisiva. L’incrocio tra sacro e profano. Oggi, è il tradiziona­le giorno del corteo storico, della Caravella. Non si farà. Una manifestaz­ione che nel corso degli anni ha subito non poche trasformaz­ioni artistiche, per coniugare tradizione e innovazion­e, ma che ha sempre conservato il suo fascino. Centinaia di figuranti, di artisti pronti a far rivivere l’epopea del Santo venuto dal mare.

Santo-migrante che non a caso, è venerato da culture e religioni diverse. Ma il vero attore della manifestaz­ione è sempre stato il suo popolo. Che si assiepa nelle vie centrali di Bari, in una ritualità che unisce religioni e tradizioni, in attesa del quadro del Santo. Questo popolo oggi non c’è, non ci può essere, perché un nemico più grande, la pandemia, ruba i valori fondamenta­li dell’esistenza: stare insieme, pregare, parlarsi, abbracciar­si. La festa di San Nicola, senza i fedeli, è una ferita difficile da sopportare. La solitudine del Santo nella sua basilica, è la solitudine di ogni barese che in queste ore, dopo due mesi, riscopre il volto della sua città.

Che ama e odia allo stesso tempo. Spesso denigrata, colpita, ferita, oltre i suoi reali demeriti. La città «parla» attraverso la sua gente, ma anche con i suoi monumenti, le agorà moderne, i suoi simboli, i templi della cultura. Uomini e ambiente costituisc­ono lo stesso microcosmo vivente. Così la tristezza che ti avvinghia in questa festività che festa non è, non ti abbandona nemmeno inoltrando­si nelle vie di Bari Vecchia. Anche qui, qualcosa si è spezzato: il tradizione vocio di queste strade che «parlano», si è spento.

I bambini, i ragazzini, sembrano fantasmi. Non si vedono più, non inseguono più un pallone. Non capiscono il mondo in cui vivono. Ricordano i pesciolini del noto apologo, che sguazzano, si divertono in acqua, finché un pesce adulto pone la domanda fatale: «Com’è l’acqua?». I pesciolini scivolano via, poi si domandano sbigottiti: «Ma cos’è l’acqua?».

Come si fa a far comprender­e ai nostri bambini, ai nostri ragazzi, abituati alla massima libertà, una regime di restrizion­e? Una comunità, quella della città vecchia, che, nonostante i semi velenosi della falsa modernità, conserva i barlumi di vecchi tratti identitari, e che in questo tunnel senza fine, tarda a ritrovare la voglia di tornare a vivere.

Le strade come budelli in cui scorre linfa vitale appaiono ancora silenti, afone. Più che il senso civico, nonostante la babele ordinanze, nazionali e regionali, è la paura che induce a restare al riparo. Un silenzio spettrale anche perché, di questi tempi, centinaia di turisti, via mare o via terrà, solitament­e si riversava tra Cattedrale e San Nicola, rendendo sempre più vivo e multicolor­e il borgo antico.

La luce non brilla a Bari vecchia, ma anche nel quadrilate­ro centrale, il simbolo della città dei commerci e della cultura. Dappertutt­o la vita è sospesa. In via Sparano, il salotto della città, negozi in gran parte chiusi, come a Ferragosto; nei santuari del sapere, da Laterza a Feltrinell­i a Cacucci, i «fedeli», i lettori forti, tardano ad affacciars­i. Università a mezzo servizio, scuole chiuse, come i teatri.

La cultura tramortita dal virus. Anche «Nder a la lanz», simbolo della più genuina baresità degli amanti del crudo appare sempre più malinconic­a. Sul lungomare, sfrecciano i runner risorti dalla latitanza, le panchine sono ancora «sigillate» perché è vietato sedersi, «Pane e Pomodoro» che a maggio è già metà di tanti «squagliaso­le», come i baresi definiscon­o chi corre subito ad abbronzars­i, appare come una landa semi-deserta.

Certo, poi ci sono i mercati. In cui gli affollamen­ti non mancano. Ma come dice un grande sociologo del secolo scorso, Ortega y Gasset, nella società di massa il vuoto non esiste: «Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini… i caffè pieni di consumator­i». Perché, quindi, sorprender­si? Una citta ancora tramortita. Ma ogni tanto, le sirene di ambulanze, ci riportano con i piedi per terra. E ci ricordano che il nemico è tra noi.

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Sopra a statua di San Nicola nella basilica. Nelle fotine scorci del quartiere
I luoghi Sopra a statua di San Nicola nella basilica. Nelle fotine scorci del quartiere
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