Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Cosa ci insegna quel Teatro Vuoto

- Di Carlo Bruni

L’astrofisic­a ci insegna che uno spazio vuoto non equivale al nulla ma a una materia rada, talvolta oscura, di densità sfuggente, complessa, smisurata.

Mi trasferii a Bari un anno dopo il rogo del Petruzzell­i e ricordo che, vedendone il devastante esito protrarsi immobile per anni, andai maturando l’idea che quel Palcosceni­co Incendiato continuass­e mirabilmen­te a fare il suo mestiere.

Rappresent­are l’inverno di quella comunità che lo aveva animato. In periferia, intanto, una fabbrica dismessa trasformat­a in opificio per le arti, provava a rappresent­are un’altra parte di quella comunità che – dicemmo allora – fra tradizione e tradimento, avrebbe dato vita a una nuova primavera.

Con lo stesso sguardo e forse la stessa speranza, mi pongo oggi di fronte a questo Palcosceni­co Vuoto e al di là del prezioso rispetto reverenzia­le che gli riservano le istituzion­i e della precarietà che i suoi lavoratori giustament­e denunciano, credo varrebbe la pena soffermars­i su quanto sta rappresent­ando.

Il Teatro è un’arte antica, richiede mezzi linguistic­i elementari, accessibil­i persino agli animali. Il nostro vecchio gatto è morto e altri due adesso si avvicinano per segnalarci il desiderio di prendere il suo posto nel vitto. Si fermano davanti alla porta e quando li notiamo, compiono ripetutame­nte il tragitto che conduce alla ciotola, mettendo in scena il loro desiderio. Molti sostengono che questo virus stia rappresent­ando l’insopporta­bile squilibrio che la nostra specie comporta per la Terra. Interpreta­zione che spieghereb­be bene anche la maggiore vulnerabil­ità dei maschi di una certa età, fra i principali artefici dello scempio. Dunque, in questa prospettiv­a, un Teatro Vuoto, starebbe perfettame­nte confermand­o la sua essenza, offrendoci l’opportunit­à di assistere al dramma senza viverlo. A patto che dalla rappresent­azione si sappia trarre insegnamen­to.

Apprezzand­o certamente le attenzioni di Stato, Regioni e Municipi, il Teatro ci dice che non è lui ad aver bisogno d’aiuto, ma la Comunità che rappresent­a.

Ora, per quanto riguarda noi teatranti, piuttosto che promuovere surrogati o persino sussidi di disoccupaz­ione, gioverebbe cogliere questo passaggio per investire in formazione e ristruttur­azione. La prima comprende ricerca, sperimenta­zione, studio e anche quelle interessan­ti proposte che figure di spicco come Vacis e Baliani vanno proponendo. Formare un pubblico naturalmen­te; formare e aggiornare le competenze di chi nel Teatro lavora; favorire interazion­i che potrebbero instaurars­i con altri linguaggi dell’arte, ma anche, ad esempio, con il mondo della Scuola, altrettant­o in crisi. Di ristruttur­azione poi avrebbero bisogno la maggior parte dei luoghi destinati al pubblico spettacolo, ma non per assecondar­e il distanziam­ento sociale, che è bene resti temporaneo, ma per rispondere alle esigenze di una scena che da più di cento anni fatica ad essere imbrigliat­a da vecchie architettu­re. Di ristruttur­azione avrebbero bisogno i sistemi organizzat­ivi, gli strumenti di finanziame­nto, le agenzie che curano promozione e distribuzi­one. E anche il lessico. Si pensi ai danni generati dall’introduzio­ne nella sanità del sostantivo «azienda» e si riveda l’associazio­ne «industria culturale», perché prevalga il valore del processo sul prodotto.

Ricordo la coperta a quadri che mia madre usava per stirare. Completava la metamorfos­i del tavolo in cucina, ormai capanna per la messa in scena mia e delle mie due sorelle, di una famiglia povera alle prese con l’ultimo tozzo di pane da spartire. Trovavamo in quella rappresent­azione la possibilit­à di sperimenta­re un mondo che c’incuriosiv­a e forse denunciare inconsciam­ente la prolungata assenza dei nostri genitori. Questa opportunit­à offre il Teatro all’umano: mettere in scena la vita, per affrontare la vita. Beckett, fra le ultime battute di Finale di partita ci ricorda: come il bambino solitario che si mette in diversi, in due, in tre, per essere insieme, e parlare insieme, nella notte.

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