Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Dobbiamo fidarci della vita
È il momento di ricostruire il nostro modo di relazionarci con il mondo. Facendo come i tuareg
Con un appello di Alessio Viola abbiamo chiamato a raccolta scrittori e intellettuali: lo scopo è capire come sta cambiando la nostra vita al tempo del coronavirus, offrendo ai lettori spunti e riflessioni che aiutino a passare la nottata. Oggi vi proponiamo due contributi, della psicologa Chiara Maddalena e dell’attore Marco Pezzella. Chi vuole può mandare il suo testo (non più di 5500 battute spazi inclusi, con foto e biografia dell’autore) all’indirizzo e-mail redaz.ba@corrieredelmezzogiorno.it.
Il virus era in Cina. Era lontano. Gli «untori» parlavano un’altra lingua. La vita era quella frenetica di sempre. Si correva… C’era un paziente uno. Le zone rosse.
«Che fai ti metti la mascherina?»
Milano non si fermava. Un appello all’unità nazionale, al senso di responsabilità collettivo. «Bergamo mola mia» Le bare, scortate dai camion dell’esercito, scorrevano lentamente sui nostri schermi. Qualcuno pregava…
Il Paese piangeva i suoi caduti.
I medici parlavano di guerra. Tuonavano dal profondo nord, i volti rigati dalle lacrime, segnati dalle mascherine.
Abbiamo affrontato il lockdown con orgoglio, canti sui balconi, bandiere alle finestre.
Abbiamo ricordato al mondo chi era Enea, nostro progenitore, che, fuggendo dalla sua casa in fiamme, trasportava sulle spalle il vecchio padre
Anchise e proteggeva il figlioletto Ascanio.
Ci siamo sentiti tutti eroi, rimanendo a casa a salvaguardare i nostri vecchi, col compito di far studiare i nostri giovani in un mondo impazzito e senza vaccino.
Finalmente nei supermercati sono ricomparsi enormi panetti di lievito e siamo tornati a fare il pane.
Le coppie hanno accusato le prime stanchezze da quarantena. I bambini a casa, tanto belli e bravi a scuola, non agevolavano lo smart working dei genitori…
Ci siamo persi e ritrovati nella rete.
Sono tornate le polemiche: «Non è una guerra, non è giusto spaventare così la gente…»
Si è tornati a discutere delle parole, mentre gli operatori sanitari chiedevano collaborazione, sostegno, dispositivi di protezione individuale.
E nel frattempo abbiamo perso una generazione di amici, familiari, colleghi, conoscenti, connazionali.
Quel piccolo esserino con la corona è passato con la falce.
Nel silenzio di chi non ha avuto il tempo di realizzare quanto accadeva, si è levata la voce della fame, della carestia che accompagna ogni peste.
Sono tornate le liti, le beghe politiche, l’incertezza delle direttive.
È quarantena per tutti e siamo tutti stanchi.
Non avevamo controllo sulle nostre vite neanche prima, solo non lo sapevamo.
Paura e ansia in questa assurda primavera.
Baci, carezze e strette di mano da dimenticare sino a nuovo ordine.
L’unica possibilità che ci rimane per sentirci ancora umani è prenderci cura l’uno dell’altro. Curare le nostre relazioni.
Comprendere la necessità di costruirci vite in cui riconoscerci.
«Quest’amore è una camera a gas» cantavano… Abbiamo trasformato le nostre famiglie e il nostro pianeta in stanze mortifere.
La natura senza di noi sembra rinascere.
Dentro di noi è forte la voglia di ripartire, di ricominciare.
Iniziamo da oggi, dal qui ed ora, dal presente, unico tempo su cui abbiamo margine di scelta. Iniziamo dalle nostre mani. Qualcuno crede che il futuro sia scritto sui loro palmi. Oggi sappiamo che il loro attento lavaggio può salvarci dal contagio, la loro laboriosità può risollevarci dalla crisi.
Con fatica, assaliti dai dubbi, governanti e governati ci stiamo aprendo a una nuova stagione di convivenza con la malattia per paura di morire di questo o di quello.
Ciascuno ha il suo mostro, anche più d’uno, con cui combattere.
La solidarietà avanza, speriamo tutti che regga.
Il mondo fuori attrae, chiama come un vecchio amante che si ritrova dopo tanto tempo, e ci si avvicina con l’incertezza interpretativa: amore ritrovato o vendetta finale?
Come fidarsi? Le precauzioni basteranno?
E poi gli altri, coperti anche loro, dai volti indecifrabili, dalle intenzioni nascoste…
Siamo finiti in un film apocalittico. Dobbiamo rassicurare i bambini, i nostri vecchi, ma soprattutto trovare noi il modo di tornare a fidarci del mondo e della vita.
L’umanità l’ha sempre fatto. Perché non dovrebbe riuscire adesso?
Qualsiasi adulto ha conosciuto almeno un’altra tempesta nella vita, magari più piccolina e oggi deve riadattare la cassetta degli attrezzi.
Nella mia c’è una donna bionda, che nel momento più nero e senza speranza, mi ha svelato il segreto dei Tuareg: quando si trovano nella tempesta di sabbia sanno che non possono fermarsi, perché la sabbia li inghiottirebbe. Non possono vedere nulla di fronte a loro, ma continuano a camminare. Un passo alla volta.