Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sul Piano Casa intervenga il Parlamento
La sentenza della Consulta sulle condizioni di applicazione del Piano casa della Regione, ha aperto negli ultimi giorni un ampio dibattito.
Se si accedesse ad una lettura restrittiva della sentenza si arriverebbe alla conclusione di considerare ormai complessivamente travolto l’impianto del Piano Casa, almeno nella parte in cui prevede(va) il riconoscimento di bonus volumetrici a seguito degli interventi di demolizione e ricostruzione. A mio parere, però, la posizione della Corte costituzionale non è questa. Le sue ragioni consentirebbero di continuare ad applicare le norme che, in effetti, non sono state abrogate. Il presupposto che ha portato alla decisione è che la norma regionale giudicata incostituzionale fosse in contrasto con la legge statale e, in particolare, con il Decreto Sblocca-Cantieri che, per un curioso fenomeno di eterogenesi dei fini, rischia in realtà di paralizzare molti cantieri. Questa norma dispone che, in sede di demolizione e ricostruzione, si debba assicurare la coincidenza dell’area di sedime, dell’altezza massima e del volume dell’edificio ricostruito rispetto a quello demolito.
Ebbene, un’interpretazione sistematica di questa disposizione può portare a ritenere che la stessa si applichi solo con riferimento alle distanze tra edifici, lasciando per il resto immutata la disciplina del Piano Casa. In sostanza, la disposizione introdotta nel Testo Unico dell’Edilizia nell’aprile 2019, reputata dalla Corte costituzionale norma di principio in materia di governo del territorio (e pertanto non derogabile), andrebbe letta nel senso di ritenere che la coincidenza dell’area di sedime, del volume e dell’altezza massima dell’edificio ricostruito rispetto a quello demolito, sia richiesta unicamente nell’ipotesi in cui si vogliano mantenere le distanze legittimamente preesistenti, ancorché inferiori alle distanze fissate dagli strumenti urbanistici vigenti. Diversamente, tale coincidenza (volume, sedime, altezza) non è richiesta ove l’edificio ricostruito rispetti le distanze prescritte dagli strumenti urbanistici e dal decreto ministeriale del 1968.
A ben vedere, la questione non è, in sé, la bocciatura di un comma della legge pugliese, quanto piuttosto il fatto che con il combinato disposto tra la norma statale e un’eventuale interpretazione irragionevolmente restrittiva si produrrebbero effetti che vanno oltre la singola questione posta al vaglio della Consulta, arrivando fino al punto di mettere in discussione non solo il Piano Casa, ma anche tutta la legislazione che fa leva su meccanismi incentivanti. Intanto, è già evidente la portata di questo problema per i Comuni che stavano gestendo diverse pratiche e ora non sanno che fare, ma anche per i cittadini, i lavoratori, le imprese.