Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Insulto sessista Colella non doveva finire a processo
Bari, i motivi dell’assoluzione di Colella: consulenza incompleta
Francesco Colella, ex consigliere comunale «non andava processato». Lo scrive il giudice nelle motivazioni della sentenza di assoluzione: non fu lui l’autore della frase sessista ad Irma Melini.
BARI Il processo a carico di Francesco Colella «si poteva ben evitare senza neanche ricorrere ad una consulenza tecnica da parte della Procura». È uno dei passaggi chiave della sentenza che il 3 marzo scorso ha assolto l’ex consigliere comunale del Movimento 5 Stelle dall’accusa di diffamazione aggravata: fu ritenuto dall’accusa l’autore di una frase sessista nei confronti dell’ex consigliera comunale, Irma Melini. L’insulto era stato scritto su una scheda di voto durante uno scrutinio segreto nella seduta del Consiglio comunale del 14 novembre 2017 per votare due componenti da inserire nell’albo dei giudici popolari per il biennio 2017-2019. Uno dei consiglieri votanti aveva scritto: «Irma la t...».
Le motivazioni della sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Bari, Antonietta Guerra, sono state depositate nei giorni scorsi. «Il gravissimo atto diffamatorio nei confronti di una delle consigliere, Irma Melini, scrive il giudice - era stato attribuito, sulla base della consulenza tecnica della procura, al Colella. Ebbene l’istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare in maniera univoca la sua non colpevolezza».
I 23 consiglieri comunali si erano sottoposti al «saggio grafico» scrivendo frasi e parole su fogli poi comparate da una grafologa con la scheda. La consulente nominata dal pm aveva stabilito che la frase sulla scheda fosse riconducibile a Colella, invece una perizia di parte aveva attribuito ad un altro consigliere la paternità delle parole ingiuriose. Sin da subito l’ex consigliere pentastallato si era detto «totalmente estraneo» ai fatti. La consulente della difesa aveva escluso la responsabilità di Colella attribuendo invece la scritta sessista ad un altro consigliere, il quale nel saggio grafico, avrebbe «dissimulato la propria scrittura al 99 per cento».
A scagionare l’imputato è stata proprio la consulenza tecnica della difesa che ha spiegato «in maniera chiara ed esaustiva l’errore su cui si basa l’attribuzione dello scritto incriminato al Colella». La consulenza della procura invece «è caratterizzata - spiega il giudice - da non trascurabile incompletezza» a differenza di quella «depositata dalla difesa che al contrario risulta eccezionalmente curata in ogni sua parte. Colpisce anche che il consulente del pmsi legge ancora nelle cartepur sottolineando la disomogeneità della scrittura» di un altro consigliere sospettato «tra il saggio grafico e le scritture antecedenti non abbia effettuato alcun approfondimento, limitandosi a specificare solo i motivi per i quali la scheda incriminata era riconducibile al Colella. Grazie alla consulenza depositata dalla difesa - argomenta il giudice Guerra- e grazie all’esame del consulente è apparso in maniera chiara l’errore: sono mancati tutta una serie di riscontri oggettivi che se fossero stati posti in essere avrebbero sicuramente escluso la riconducibilità dello scritto al Colella».
«Dopo 3 anni abbiamo ben due vittime e nessun colpevole - ha detto Irma Melini - certo è che dal 14 novembre 2017 un consigliere comunale eletto dal popolo, che beneficia di fiducia e privilegi istituzionali, continua regolarmente la sua vita come se non fosse accaduto nulla. Tanto al massimo si prescrive, potrebbe sperare il colpevole o la colpevole, tanto nessuno avrà il coraggio di andare oltre, tanto un reato sessista vale il tempo del clamore mediatico. Questi uomini e queste donne fanno politica, vi chiedono fiducia, potrebbero rappresentare ancora le nostre istituzioni e tutti, nella politica, fanno finta di nulla, si coprono le spalle e quasi giustificano certi gesti ignobili se colpiscono una donna, magari scomoda, come sono stata io in politica» conclude l’ex consigliera comunale.