Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Frecciatina di Barba al Salento «Non mi ha voluto trattenere»
Il regista salentino, fondatore dell’Odin Teatret in Danimarca «Lì i politici sono orgogliosi di noi»
Parte stasera da Bari, e prosegue a Lecce, la settimana di incontri, proiezioni e spettacoli che i Cantieri Koreja dedicano al salentino Eugenio Barba, l’allievo italiano di Jerzy Grotowski e fondatore dell’Odin Teatret, la celebre compagnia residente nella piccola Holstebro, in Danimarca.
Profeta del cosiddetto «terzo teatro» o «teatro dei gruppi», Barba viene celebrato ai Cantieri di Lecce il 26 ottobre con la proiezione del road movie The Art of Impossible e il 31 ottobre con lo spettacolo La casa del sordo,
tributo dell’Odin al pittore Francisco Goya.
Intanto oggi (ore 18) è atteso all’Officina degli Esordi di Bari per un dialogo con lo storico del teatro Franco Perrelli intitolato «Il teatro al tempo del colera», in cui si parla della pandemia partendo da L’amore al tempo del colera di Garcia Marquez, «romanzo - ricorda Barba - nel quale due vecchi che non hanno potuto amarsi da giovani si ritrovano a realizzare la loro passione su un battello fluviale in quarantena».
Il viaggio caratterizza da sempre il suo teatro. Si sente più cosmopolita o apolide?
«Non ancora diciottenne, nel 1954 ho lasciato l’Italia per la Norvegia, dove ho lavorato fino al 1961 come saldatore in un’officina e, per un paio d’anni, come marinaio. È stato un periodo di formazione particolare, tra perdita della lingua e orientamento in un mondo incomprensibile. Ho vissuto il razzismo, specialmente sui mercantili norvegesi, dove i marinai scandinavi avevano un disprezzo per gli italiani a causa delle imprese di Mussolini in Abissinia, conquistata usando i lanciafiamme contro la popolazione. Emigrare significa sradicarsi. Ma l’essere umano è come un albero che per vivere ha bisogno di radici. Le puoi avere in una terra, oppure in cielo. E siccome le mie sono legate a valori particolari, le ritrovo e mi nutrono ovunque io sia».
Quanto il teatro è stato l’effetto e la causa dei suoi vagabondaggi?
«L’Odin è diventato itinerante per forza di cose. Se fondi un teatro in una cittadina di ventimila abitanti, devi spostarti per trovare gli spettatori».
Come si concilia la sua forte personalità registica con la centralità dell’attore mutuata da Grotowski?
«In un teatro possono cambiare il direttore, gli attori, ma le relazioni dell’ambiente di lavoro rimangono quelle di un’aggregazione basata sulle competenze. Nel teatro di Grotowski, come in quello di Peter Brook, del Living Theater, dell’Odin e del Théâtre du Soleil, il teatro è un’affiliazione di persone, con particolari relazioni di lavoro, all’interno della quale la centralità dell’attore rappresenta solo una caratteristica».
A Bari e in Puglia saltuariamente si parla di teatro stabile. Ha ancora senso una struttura del genere?
«I teatri rispecchiano le necessità e le motivazioni di coloro che lo fanno, attori e registi. E i teatri stabili sono edifici guidati da direttori che si alternano. Ma il direttore può trasformare radicalmente il suo repertorio, così come le relazioni di lavoro in cui questo si realizza. Pertanto, un teatro stabile può avere la stessa efficacia sovversiva di un gruppo teatrale, se riversa abitudini e modi produrre e innesta spettacoli in ambiti diversi, non solo nella sua sede fissa. Pensiamo a Peter Stein quando ha diretto la Schaubühne, a Berlino. Ma anche all’esperienza di Koreja, a Lecce».
Il teatro può ancora porsi come strumento di uscita dal quotidiano e rappresentare un luogo di sperimentazione delle relazioni sociali?
«Il teatro è una parentesi nella vita di un cittadino, che si immerge in un paio d’ore di intrattenimento, riflessione intellettuale, godimento estetico o provocazione verso i suoi pregiudizi. Questo è il sistema “teatro” nella società di oggi, con tutte le sue ripercussioni economiche e alibi culturali. Esistono esempi, invece, dove le persone che fanno teatro, cercano di dare un altro senso alla loro professione. È il caso di Brook e Grotowski, che hanno permesso un modo diverso di realizzare e vivere il teatro, sia da parte di chi lo fa che di chi vi assiste».
C’è una spiegazione se il Salento ha partorito Carmelo Bene e Eugenio Barba?
«Bisognerebbe domandarsi piuttosto come mai il Salento non li ha saputi trattenere. Perché non li ha invitati a ritornare per volare ancora più in alto? Perché non sono mai stati offerti a Carmelo Bene un teatro e le risorse necessarie quando si è ritirato a Otranto? Come mai i politici di Holstebro sono orgogliosi dell’Odin, nel quale regista e attori di una dozzina di Paesi diversi parlano male la lingua del posto? Se il teatro è determinato dalla resistenza delle persone che lo fanno, la vita culturale di una regione è la conseguenza delle scelte e delle visioni di chi governa quel territorio».
❞ Una parentesi Il teatro è una parentesi nella vita di un cittadino che si immerge in un paio d’ore di intrattenimento, riflessione, godimento estetico o provocazione
Bene dimenticato Perché non sono mai stati offerti a Carmelo Bene un teatro e le risorse necessarie quando si è ritirato a Otranto?