Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Io novello Ulisse» Biennale del teatro, la direzione a Forte
Gianni Forte, andriese, è «il golden boy» del palcoscenico italiano
«Ora è un animale ferito, ma il teatro non morirà mai», dice Gianni Forte, l’artista di Andria che con Stefano Ricci forma un duo «terrible» della scena contemporanea. Ricci e Forte sono stati appena nominati alla direzione della Biennale di Venezia per il quadriennio 2021-2024, sezione teatro, naturalmente. Incarico che arriva in una fase di grande incertezza, con il mondo dello spettacolo costretto nuovamente a fermarsi. «In questo momento - dice Forte da Parigi, dove risiede - ci sentiamo due novelli Ulisse che stanno per salpare verso magnifiche avventure, ma con giganteschi punti interrogativi. In Francia la situazione è davvero grave. Ma un motto samurai recita: se vai avanti muori, se ti tiri indietro muori lo stesso. Allora perché fare dietro-front?»
State affilando le armi?
«Siamo cavalieri erranti, pronti a guardare la realtà senza filtri, come nostra abitudine. Alla Biennale proporremo una visione particolare del mondo, con un respiro davvero internazionale».
Se doveste scegliere un’artista, una compagnia pugliese, chi portereste a Venezia?
«Da molti anni ho perso di vista quello che accade nella mia terra, ma con Stefano utilizzerò questi mesi per fare delle ricerche. Quando vivevo in Puglia la situazione era davvero desolante, motivo per cui sono andato prima a Roma, poi all’estero».
Quanto deve al Festival Castel dei Mondi?
«Tanto. Chissà che non ci sia presto un ritorno. Ne stiamo parlando. Quando eravamo degli sconosciuti furono i primi a scommettere su di noi e a produrci. Era un festival in grande ascesa, che aveva toccato vette himalayane. Lì, nella mia città, è nato il nostro primo spettacolo, Troia’s Discount. Poi ne sono arrivati altri, anche del progetto Wunderkammer Soap. In quel periodo la Puglia è stata una terra molto generosa, non quando avevo diciotto anni. Mi stava stretta. E sono scappato».
Il mondo del teatro in Italia protesta perché considera inaccettabile l’idea di essere derubricato a “tempo libero”.
«Una parola gentile, finalmente. Normalmente ci considerano stracci, una Cenerentola da tenere in disparte a spazzare. In Francia si invespettatori stono tanti milioni di euro e ci sono sempre tutele per chi rimane temporaneamente tagliato fuori».
Mutuando la locuzione Hic sunt leones, titolo del programma che avete condotto su Rai Tre, quali confini non avete ancora esplorato?
«Vorremmo continuare a scavare nell’interiorità degli ma anche mettere a nudo quei rami che, vibrando, ti dando la possibilità di captare l’oggi. Per questo alla Biennale faremo un lavoro di interferenze, di scambi con la danza, la musica, l’architettura e le arti visive. Allo spettatore vorremmo dare una visione stereoscopica, di un teatro inteso come organismo vivente che pulsa e permette di analizzare lo smarrimento nel quale stiamo precipitando. Il teatro deve testimoniare questi momenti di instabilità e accettare l’esistenza con tutta la sua complessità».
L’hanno chiamata in vario modo, golden boy del teatro, enfant terrible del palcoscenico. Lei come si definirebbe?
«Il fautore di un terrorismo poetico. Perché la poesia è l’unico modo per disintossicarsi dalle brutture che ci circondano, permettendoci di rimanere in uno stato di vigilanza».